La riconferma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è un chiaro fattore di rafforzamento del corso politico avviatosi con l’avvento di Mario Draghi a palazzo Chigi. Sbaglia chi afferma che il Governo ne esce indebolito. Il consolidamento sarà sempre più evidente nel corso di quest’anno che accompagnerà i partiti alle prossime elezioni politiche (2023). Difficile che siano anticipate per più ragioni che qui non vi è spazio per approfondire, a cominciare dal fatto che i partiti non sono pronti. E quello di finire la legislatura è auspicio largamente condiviso.



È evidente – e già si vedono i prodromi – che dentro i partiti stanno crescendo le contraddizioni. Consideriamo che, a parte Fratelli d’Italia, sono tutti membri della maggioranza di governo e sono attraversati dallo scontro – lo semplifichiamo al massimo, ma la cosa è più complessa – tra governisti e non. Ciò che sta avvenendo in casa Cinque Stelle è topico ed è anticipatore di situazioni che emergeranno anche negli altri schieramenti: la leadership politica di Giuseppe Conte è attaccata dal rafforzamento della posizione “draghiana” di Luigi Di Maio. È schema che emergerà, con le sue specificità, anche nella Lega e nel Pd in particolare.



Quello che andrà rafforzandosi è il promiscuo e trasversale fronte governista. E che tra un anno chiederà a Draghi – più o meno direttamente – di proseguire nella sua azione di governo. Questo è elemento imprescindibile perché l’ex Presidente della BCE è garante non solo degli impegni che il Paese ha preso in particolare con l’Unione Europea, ma anche della sua stabilità, cosa che si estende alla nuova alleanza euro-atlantica.

Dentro questa nuova geografia politica caratterizzata da stabilità e trasversalità, nonché dentro una nuova centralità che il Pnrr assegna al lavoro, riteniamo che il sindacato possa trovare un ponte importante per rilanciarsi. È difficile per le Parti sociali interloquire con i Governi allorquando non vi è la necessaria stabilità. Oggi vi sono le giuste condizioni per concertare insieme al Governo un nuovo Statuto del lavoro (o “dei lavori” come lo chiamava Marco Biagi). Non solo, anche per essere partecipi della stagione della ricostruzione. Suona un po’ retrò, ma la parola recovery – che ispira la terminologia recovery plan e recovery fund da cui Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) – significa, appunto, ricostruzione.



Ora, in che modo il sindacato può rilanciare la sua azione ed essere protagonista della ricostruzione?

Intanto, vi sono scelte che riguardano il livello nazionale. La questione del salario minimo, per esempio, è inevitabile e chiede un negoziato serio tra politica e sindacato. A parte la direttiva europea, che appunto impegna Stati membri a intervenire in tal senso, oggi l’inflazione sta sempre più stressando il potere d’acquisto, al di là dell’indice Ipca. I salari vanno rinforzati. E iniziare a mettere fuori gioco le situazioni più precarie dello scambio lavoro-salario è la cosa più sensata. Certo questo non può avvenire lasciando al legislatore la facoltà di stabilire il livello minimo dei salari: ciò in un secondo momento potrebbe diventare terreno di campagna elettorale e di scontro politico. E sarebbe una disgrazia. È questo un meccanismo che impresa e lavoro, nella loro sana dialettica, devono poter continuare a controllare. Va però detto che il legislatore può, per ciascun settore merceologico, indicare qual è il contratto più rappresentativo: sarà certamente anche il contratto con la migliore retribuzione che può quindi essere estesa erga omnes, mettendo così fuori gioco i cosiddetti “contratti pirata”. 

Altra questione è quella del “lavoro da remoto” come lo chiama Michel Martone. Non è naturalmente tutto smart working. Ed è incredibile che dopo due anni di pandemia soltanto le aziende più grandi abbiano strumenti – dai contratti aziendali – per orientarsi nella gestione del lavoro a distanza. E tutte le piccole imprese? Ricordiamoci che il 95% di imprese italiane ha meno di 10 addetti. Non è spiegabile come a oggi siaNo ancora sprovviste di linee guida che disciplinino il lavoro da remoto, nelle sue svariate forme, che è il lavoro del futuro. Anche perché gli aspetti di work-life balance che ne seguono sono importanti.

Vi sono poi questioni di sviluppo locale che saranno determinanti. Al di là della crescente necessità per chi rappresenta il lavoro di essere sempre più in grado di disegnare le scelte organizzative aziendali, senza la capacità dei territori di essere attori della crescita, difficilmente avremo una buona attuazione del Pnrr. Vanno riprogettati gli ecosistemi che circondano le imprese (scuola, formazione, Pubblica amministrazione, qualità ambientale, ecc.). 

Il sindacato non può essere spettatore di questo processo, ma le logiche che hanno funzionato sino a oggi non funzionano più. Urge modernizzarsi e individuare nuove rotte.

Twitter: @sabella_thinkin