L’economia globale, la deflazione, la mancanza di crescita significativa, la difficoltà di rilanciarsi come attore della trasformazione, le spinte antisindacali (e non solo disintermedianti) sono fattori che hanno reso, e tuttora rendono, il presente e il futuro della rappresentanza sociale alquanto nebuloso. Anche perché non siamo in presenza di progetti di riforma strutturale – per esempio, del sistema contrattuale – che fanno pensare a una nuova stagione. Intendiamoci: il teatrino che offre la politica è prova del fatto che questa non è soltanto inadeguata in quanto a competenza, ma spesso nemmeno ha chiari i problemi del Paese; non è così nel mondo sindacale, dove esiste e resiste una più chiara comprensione dei fenomeni che però – ecco il problema – fatica a diventare sistema.



Il sindacato, così com’è oggi, è l’ultimo dei soggetti organizzati sopravvissuti al crollo della Prima Repubblica e, in quanto tale, si porta dietro ancora qualche limite strutturale di quel tempo, per esempio la lentezza del processo decisionale. Le grandi organizzazioni sono anche, ahimè, delle rigide burocrazie. Il punto è che la burocrazia spesso è la morte di un’organizzazione, perché o questa riesce a rendere centrale la persona – e allora risulta vitale – o rende centrale la regola (il bureau appunto, da cui burocrazia). E, oggi come oggi, un sistema di regole non più così confacente al lavoro del ventunesimo secolo ha allontanato le persone dalle organizzazione sindacali. Proprio in questi giorni, Ferruccio De Bortoli scriveva a tal proposito che “i sindacati non rappresentano (quasi) più i lavoratori”. Ha ragione De Bortoli?



Il cuore della rappresentanza non ha a che fare soltanto con ciò che questa restituisce come oggetto del suo mandato – il contratto e il salario, per esempio -, ma con la capacità che essa ha di aggregare le persone, di farsi riconoscere da coloro che intende rappresentare. Si può essere in presenza del miglior contratto possibile, ma se i lavoratori non lo comprendono… senza considerare che, con la difficoltà che si registra oggi a crescere il salario, la strada non è certo in discesa.

Da questo punto di vista – che, tecnicamente, è capacità di comunicare – il sindacato confederale gioca un ruolo centrale: perché è il soggetto preposto e riconosciuto per questa funzione. Non serve qui ricordare quanto, negli ultimi cinque anni, il trio Camusso-Furlan-Barbagallo abbia giocato in difesa, prima con Renzi e, più recentemente, con Di Maio e Salvini. L’elezione di Maurizio Landini alla guida della Cgil è in tal senso un fatto positivo: non c’è alcun dubbio sulla sua capacità di comunicare ai lavoratori e di farsi riconoscere come loro rappresentante, oltre che di riuscire ad attaccare il governo nelle sue scelte sbagliate.



Proprio in questi giorni, a cavallo della ricorrenza della Festa del lavoro, Landini ha fatto un’affermazione importante: “Le ragioni storiche, politiche e partitiche che portarono alla divisione tra i sindacati italiani non esistono più. Oggi possiamo avviare un nuovo processo di unità tra Cgil, Cisl e Uil”. Non è la prima volta che Landini si richiama all’unità sindacale, il tema è stato centrale durante la sua campagna elettorale da candidato alla segreteria generale della Cgil; ma avendolo questa volta fatto attraverso le pagine di Repubblica, naturalmente la cosa ha avuto una certa attenzione. Tuttavia, soltanto dieci anni fa si sarebbe parlato in ogni luogo di parole con questo sapore, ciò ci dice quanto si sia ridotto lo spazio del sindacato nella coscienza collettiva. Restano comunque parole importanti che hanno il loro peso, soprattutto perché dicono che non vi sono più ragioni per la divisione.

Naturalmente, c’è chi ricorda che Landini è quello del caso Fiat, contrapposto non solo a Marchionne ma anche agli altri sindacati che firmavano quegli storici accordi. Al di là del fatto che sarebbe interessante che Landini facesse chiarezza su quel caso – non solo per memoria storica, ma anche perché molti problemi aperti oggi (legge rappresentanza, ruolo del contratto nazionale e salario minimo, per esempio) sono figli di quella vicenda -,, il punto più importante delle sue parole è la consistenza dell’unità a cui richiama. Ovvero: su cosa si fonda la nuova unità tra Cgil, Cisl e Uil?

Premesso che per il sindacato l’unità è fondamentale per la sua sopravvivenza – un sindacato litigioso rischierebbe oggi di sparire del tutto – questa va concretata in un grande progetto di riforma: se c’è questa disponibilità da parte di Cgil, Cisl e Uil a lavorare insieme, è molto possibile che emergeranno le idee migliori che vi sono dentro le tre organizzazioni. E non ci sono dubbi che vi siano idee in grado di incidere realmente sulla vita delle persone. Ma ora o mai più, il rischio è di passare dalla stagione dell’irrilevanza a quella della dissoluzione.

Twitter: @sabella_thinkin

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