Con l’approvazione del “Collegato Lavoro” del 2024 il Governo Meloni ha modificato una serie di previsioni pre-vigenti tra cui quelle relative all’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, per il diploma di istruzione secondaria superiore e per il certificato di specializzazione tecnica superiore (c.d. apprendistato di primo livello o apprendistato scolastico).
In particolare, la nuova normativa prevede la possibilità di trasformazione del contratto di apprendistato di primo livello, oltre che in un contratto di apprendistato professionalizzante (o apprendistato di secondo livello), anche in un contratto di “apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale”.
La “trasformazione del contratto”, previo l’ovvio e necessario aggiornamento del piano formativo individuale, comporta, quindi, la continuità del contratto di lavoro stipulato tra le parti, ossia tra l’iniziale apprendistato di primo livello e l’apprendistato di alta formazione e di ricerca e per la formazione professionale regionale, e un prolungamento del periodo di formazione finalizzato al raggiungimento del “nuovo” titolo professionale relativamente alla possibilità del conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, del conseguimento di diplomi relativi ai percorsi degli istituti tecnici superiori, dello svolgimento di attività di ricerca e, infine, dello svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.
La bontà delle scelte effettuate, come spesso se non sempre, non è relativa alle norme in quanto tali, ma alla loro concreta applicazione e allo “spirito” con cui queste vengono attuate nella quotidianità. Ad esempio, troppo spesso ci si dimentica del ruolo fondamentale, e caratterizzante, della formazione nel percorso di apprendistato che, in molti casi, rappresenta solo uno strumento legale per abbassare il costo del lavoro dei lavoratori più giovani.
Potrebbe essere così, ad esempio, utile, in questa prospettiva, rileggere le vicende di Don Bosco (festeggiato dalla Chiesa Cattolica il 31 gennaio) che nel lontano 1852 fece firmare il primo Contratto di “apprendizzaggio”, una sorta di apprendistato “ante litteram” che prevedeva obblighi per i padroni a impiegare i giovani apprendisti solo nel loro mestiere, e non come servitori e sguatteri, chiedeva che le “correzioni” fossero fatte solo a parole e non con le percosse, si preoccupava della salute, del riposo festivo e delle ferie annuali ed esigeva uno stipendio “progressivo”, poiché il terzo e ultimo anno di apprendistato doveva essere in pratica un anno di vero, e proprio, lavoro.
Un contratto, quello del 1852, da leggere, tuttavia, legato a una visione del mondo e a un sistema educativo “preventivo” in cui al giovane viene offerto un ambiente nel quale è incoraggiato a dare il meglio di sé, a scoprire e riconoscere i propri talenti e limiti, nel rispetto degli altri e scoprendo la propria “vocazione” nel mondo.
Un metodo che, probabilmente, con le dovute correzioni, e i necessari “aggiornamenti” al nostro presente, può aiutare, anche oggi, lo sviluppo di percorsi di apprendistato di qualità e facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e, più in generale, nel mondo dei “grandi”.
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