“Durante questi lunghi mesi di pandemia abbiamo sempre avanzato proposte e chiesto con tenacia la tutela dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati. Tali azioni hanno trovato forte condivisione anche nella Conferenza Episcopale Italiana”.
Si tratta, forse, del passaggio meno scontato del documento con cui Cgil, Cisl e Uil hanno presentato la manifestazione di oggi con cui, nelle piazze di Bari, Firenze e Torino, intendono (rap)presentare al Governo il loro malcontento.
Il meno scontato, dicevamo, se non altro perché non è usuale che in un documento sottoscritto anche dalla Cgil (e dalla Cgil di Landini e Camusso, in particolare), sia “chiamato” il sostegno dei vescovi italiani. Non vorremmo però che questo più che un segnale di cambiamento fosse da interpretare come una sorta di SOS, un grido di aiuto rivolto ai soli, i vescovi appunto, che continuano a guardare al sociale e ai problemi della società da un punto di vista non ideologico o “borghese”.
I contenuti della manifestazione sindacale sono quelli attesi: il lavoro che non c’è, i salari e le pensioni che decrescono, i giovani, le donne, la sicurezza sul lavoro, la povertà che si va espandendo, uno sviluppo atteso da troppo tempo e mai arrivato.
Tutte cose giuste e sacrosante, tutte rivendicazioni che non solo si possono ma si devono sottoscrivere. Peccato però che quei contenuti siano i medesimi (a un dipresso, avrebbe chiosato il mio amato professore di greco al Liceo) per i quali si è manifestato nei giorni pre-Covid, e poi nei mesi pre-pre-Covid e poi negli anni pre-pre-pre ecc. ecc.
Insomma, se le cose non cambiano, possibile che la risposta debba sempre essere la medesima, una sorta di coazione a ripetere, un riflesso pavloviano per il quale a un’azione (nel caso diremmo a uno stato permanente e per nulla evolutivo della crisi), deve per forza corrispondere una unica e sola, la stessa da sempre, reazione (“e noi scendiamo in piazza”)?
Stavolta potremmo sbagliarci, ma l’impressione che traiamo da quanto ci troviamo sotto gli occhi è che i gruppi dirigenti dei tre sindacati che hanno indetto la manifestazione abbiano forse fatto male i calcoli. Perché dal nostro punto di vista da una manifestazione, ma più in generale ci verrebbe da dire da una qualunque scelta, ci si deve attendere una conseguenza, ovvero, in altri termini, si dovrebbe ragionare così: facendo questo gesto vogliamo ottenere quest’altro.
Appunto: cosa? Ma soprattutto, ed è qui il punto, da chi?
Dal Governo forse? Fino a oggi l’incidenza sindacale sulle scelte governative è stata, ottimisticamente soppesando, abbastanza marginale. Sarebbe quindi giusto operare per aumentare questa incisività: ma davvero qualcuno crede che Draghi, dominus unico e padronale della situazione, realista al punto da sfiorare talora il cinismo, possa modificare le sue scelte sulla base di tre piazze? A chi coltiva candidamente un simile sogno (non osiamo usare la parola speranza, che è pur sempre, per dirla con il padre Dante, quella virtù da cui Regnum coelorum vïolenza pate), consigliamo caldamente la visione dell’ultimo film di Costas Gavras, Adults in the Room, nel quale si disegna perfettamente il ruolo svolto dal nostro Premier in occasione della drammatica crisi ellenica succeduta alla vittoria elettorale di Tsipras: un incrocio tra il freddo burocrate e l’attento (a non compromettersi) equilibrista. A proposito: vi siete mai chiesti perché, pronti e felici di essere smentiti ovviamente, quella pellicola uscita nel 2019 non ha ancora trovato distributori né in Italia, né in Germania?
Neppure, amici e compagni sindacalisti, ci pare che questa possa essere la strada per riportare le istanze sociali sul tavolo della politica. Il Governo, infatti, governa e continuerà a rispondere al vero vincitore di ogni elezione italica, il presidente della Repubblica: fateci caso, da Scalfaro in poi ogni inquilino del Quirinale ha trovato il modo, o si è trovato tra le mani, l’occasione per farsi il “suo” Governo, talora facendo cadere quello democraticamente eletto, talora aspettando che l’insipienza altrui operi il suicidio! Se non rischia di cadere, perché dovrebbe modificare il suo operato? Perché glielo dicono i partiti? Cioè, parliamo di quegli stessi partiti che dal Governo sono stati commissariati e ridotti a litigare sul nulla?
Ma facciamo finta che la realtà sia un’altra e avanziamo un’ipotesi del terzo tipo (dell’impossibilità si diceva una volta). I sindacati mirano a farsi ascoltare dai partiti. Beata ingenuità. Di quale partito parliamo? Il Pd ci pare impegnato oggi più in durissimi scontri (al suo interno vi è chi parla, con un vago senso di onnipotenza se non di principiante onanismo, di scelte epocali) sul Ddl Zan e per di più in aperta polemica con i vertici episcopali e del Vaticano. Vi sembra, dico a voi amici e compagni, il Pd un partito che sa e capisce della gente e del popolo profondo? E allora andiamo dalla Lega? Forse potrebbe essere così: in fondo qui, nel Nord produttivo e industriale almeno la metà degli iscritti già votano le liste salviniane… Sì, ma perché gli ex sommi sacerdoti del dio Po dovrebbero mollare i loro artigiani e piccoli imprenditori per sacrificarsi sull’altare di Cgil, Cisl e Uil? I pentastellati? Beh non sarebbe sbagliato: in fondo hanno avuto già alcuni ministri straordinari. Ma infatti: basti pensare, suggeriamo noi a conferma di tale genialoide assunto, all’impulso impresso dall’ex ministra dell’Istruzione al settore del legno con la storica commessa di centinaia di migliaia di banchi con le rotelle. O a Giggino nostro, al secolo Di Maio, il miglior ministro degli Esteri della storia (Grillo dixit …) e a quante commesse internazionali ha saputo garantire alle imprese nostrane. Vabbè, resterebbero i Fratelli (d’Italia), l’eterno Silvio, (Lo)Renzi d’Arabia. E chi altri? Ah, sì, l’azionista Calenda.
E allora capiamo quell’appello ai vescovi. Quell’accenno in realtà va declinato diversamente: “Eccellenze ascoltateci almeno voi che sapete cosa succede nella realtà delle famiglie e davanti alle porte delle Caritas e delle varie collette alimentari, farmaceutiche e via raccogliendo”.
Le manifestazioni però, sic stantibus rebus, non sono più un segno di forza, bensì di debolezza. Per essere incisive avrebbero necessità di un interlocutore politico, ma poi avrebbero anche bisogno, anzi questo forse sarebbe un a priori, di intercettare il cuore della gens italica. In questo senso il sindacato ci sembra abbia urgente bisogno di un rinnovamento non tanto nelle strutture e nelle forme esteriori, quanto nella sua stessa identità: mai come oggi ci sarebbe bisogno di un sindacato radicalmente attivo (cioè con iscritti e reale rappresentatività), là dove si sta creando il lavoro di domani, tra quei giovani tecnici, ingegneri, i diplomati e laureati che pagheranno le future pensioni, come tra quei lavoratori marginali su cui si scaricano i costi della competitività.
Ribadiamo: le richieste che si faranno domani in piazza sono giuste, ma per essere giuste non saranno meno scontate e forse rischiano perfino di essere troppo affastellate. Non sarebbe, chiediamo, stato meglio selezionarne alcune più radicali e innovative?
Buttiamo lì: perché non battersi per una riforma (abolizione?) delle “false” cooperative? Perché smettere di chiedere di abrogare gli appalti al massimo ribasso quando perfino la normativa europea sta andando in questa direzione? Dov’è finita la rivendicazione di un cambio nel sistema di formazione continua? Non è che la Cisl ha dimenticato la sua battaglia sul Long Life Learning come la via per garantire occupazione e si è lasciata ammaliare dal facile e immediato appello al blocco dei licenziamenti? E il sistema di istruzione duale nel quale si riconosca finalmente l’importanza e la pari dignità tra sapere teorico e sapere pratico?
Andare in piazza infatti va bene, ma solo finché la sola utilità della manifestazione non è quella di dire che siamo vivi. La piazza non può essere la CPap del sociale! La ventilazione meccanica attiva per la società intermedia è rappresentata invece dalle sue radici, da quei filamenti cioè che per essere nutrienti necessitano di sostanze da trasportare nell’organismo oltre che della profondità da cui pescarle.
E così se non lo dice nessuno lo diciamo noi che fummo (siamo?), inveterati democristiani: in questa Italia nella quale il Pd è diventato il partito che rappresenta e garantisce unicamente i desiderata della ricca, malata e annoiata borghesia; nella quale la Lega e i Fratelli parlano del Popolo, ma in realtà si rivolgono al suo fegato e alla sua pancia, in questo Bel Paese c’è bisogno di una sinistra vera e sana, di quelle dure e pure. Alla Marco Rizzo, per intenderci.
Poiché ormai non c’è più il rischio di vedere i cosacchi a piazza San Pietro (pur se qualche odierno emulo ultra-cattolico di Donna Prassede convinto di conoscere sempre cosa vuole davvero Dio, chiosa da un po’ che i cosacchi in fondo hanno già occupato gli appartamenti vaticani), almeno così Francesco e i nostri vescovi avranno un interlocutore che capisce a che cosa si riferiscono e di cosa stanno parlando quando con biblica pazienza spiegano che le famiglie sono allo stremo e che in Italia qua e là la povertà ha iniziato a divenire miseria.
E non si sentiranno rispondere che la vera urgenza popolare di questa estate 2021 è il Ddl Zan. A proposito amici e compagni sindacal-piddini: ma i documenti dei vescovi con cui si “concorda” e di cui ci si fa forza, vanno selezionati a seconda dei paragrafi o vanno invece ascoltati dal loro inizio alla loro fine?
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