È indubbio che le piazze delle grandi città d’Italia si stiano surriscaldando con manifestazioni e cortei, spesso accompagnate da scioperi estesi (come numero di aderenti) e in qualche caso più annunciati che effettivamente svolti, ma comunque utili per narrazioni di media interessati a dar voce sempre più alle cose che non vanno.



Se lo sciopero di martedì 5 novembre ha paralizzato l’Italia ferroviaria come risposta unanime ai problemi della sicurezza e l’incolumità del personale addetto alla circolazione, dopo l’aggressione immotivata a un giovane capotreno di Genova, questa protesta aveva una sua radice comprensibile e condivisa. L’altra astensione di venerdì 8 novembre, che ha nuovamente messo in crisi il trasporto dei pendolari e la mobilità dei trasporti pubblici locali, sembra più motivata da ragioni anch’esse comprensibili (mancato rinnovo del Contratto nazionale di lavoro scaduto da troppo tempo), ma non adeguatamente percepite e condivise dall’opinione pubblica appiedata. Infatti, sono ormai troppe le agitazioni dei trasporti nei fine settimana motivate da ragioni evanescenti o dettate da pii desideri (la pace, il capitalismo, lo sfruttamento….) e promosse da pseudo gruppetti organizzati in sigle che si richiamano agli anni ’70 del secolo scorso. Organizzare uno sciopero nei trasporti ha bisogno di una regia per massimizzare il danno collettivo e minimizzare la trattenuta per astensione a un numero limitato di lavoratori. Infatti, è sufficiente che si astengano dal lavoro alcune figure chiave e in numeri comunque ridotti (a rotazione autisti, macchinisti, addetti alla sicurezza, alla vigilanza, alle manutenzioni, ai servizi di emergenza) per produrre comunque la chiusura di intere linee metropolitane e la fermata di decine di mezzi di superficie.



Ma se talune modalità risultano ormai, come dire, fisiologiche (ci stiamo abituando a utilizzare i mezzi privati e personali il venerdì…), stiamo assistendo invece a una profonda divaricazione tra le grandi centrali sindacali in merito alle scelte del Governo e della maggioranza parlamentare, una divaricazione che parte da una constatazione: negli ultimi 4 anni sono stati proclamati 4 scioperi generali in autunno, anche contro il Governo guidato da Draghi, oggi primario e ascoltato consigliere della Commissione europea. Quest’anno poi lo sciopero è stato annunciato dalla Cgil e successivamente dalla Uil fin dal rientro dalle vacanze, quando non c’era ancora un’idea del documento di bilancio tra entrate e uscite, ma solo qualche battuta del Ministro Giorgetti al Meeting di Rimini sull’idea che i sacrifici li devono fare tutti, banche comprese!



Ora siamo di fronte ad uno sciopero generale proclamato dalla Cgil e dalla Uil per il 29 novembre, preceduto in questi giorni dalla mancata firma delle stesse sul rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici. La Cisl, invece, con un documento articolato in cui mette in luce sui diversi capitoli i risultati conseguiti (e da consolidare in Parlamento, in quanto sempre suscettibili di cambiamenti e non sempre in meglio, sempre per politiche di posta), segnala la strumentalità dell’iniziativa, che disconosce anche le cose che vanno bene nelle proposte governative: dal taglio permanente delle tasse (Irpef) agli incentivi ai premi aziendali e al welfare aziendale, dagli sgravi contributivi sulle assunzioni per alcune categorie al parziale incremento delle indicizzazioni pensionistiche, oltre ad altri provvedimenti che devono invece essere corretti o che sono assenti. Quindi, si suol dire, lavori in corso….

Ma se il contratto nazionale dei dipendenti pubblici è valido per tutti i lavoratori, in quanto firmato da sigle sindacali che superano la soglia del 50% dei consensi certificati (e quindi anche per gli iscritti di Cgil e Uil) e risulta strumentale la richiesta di referendum (non previsto dalle regole da tutti condivise), lo sciopero generale viene proclamato ma difficilmente verrà effettivamente realizzato e questo sulla scorta delle verifiche circa le adesioni effettive. Infatti, negli ultimi tre anni, nei tre scioperi generali annunciati unilateralmente, l’adesione è stata scarsa se non nulla, con piazze in cui sono accorsi militanti, funzionari e attivisti delle federazioni pensionati delle due confederazioni, mobilitate per sostenere i pochi secondi di un film da trasmettere nei resoconti delle testate televisive!

Il problema è il danno sociale che si produce, incrementando il livello di animosità e rancorosità nel Paese, screditando tutta l’esperienza sindacale a prescindere dalle organizzazioni, svalutando lo strumento dello sciopero che, comunque, rimane un diritto e un atto di libertà costituzionalmente garantito.

Qui il tema non è se i sindacati sono amici o nemici del Governo in carica, il tema è se nel Paese può ancora prevalere un’idea di scontri sociali per la redistribuzione di una ricchezza… che non c’è. Infatti, come dimostrato anche dai processi socioeconomici in atto, le sfide si affrontano e si vincono se prevalgono alleanze tra i diversi soggetti che concorrono a formare la ricchezza, se prevale un’idea di difesa e promozione di decisioni utili da assumere, sia sui capitoli sociali (sanità, previdenza, scuola, servizi sociali, investimenti per le transizioni e la difesa dei suoli), sia sugli assetti delle attività produttive di beni e di servizi. Se si inneggia alla necessità di rivolte sociali da innescare, un linguaggio che solo i sindacalisti dei boomers usavano ai loro tempi, anche coloro che hanno responsabilità di importanti strutture sindacali iniziano a smarcarsi. E non è un caso che i metalmeccanici della Uilm, guidati da Rocco Palombella, non intendono seguire Landini in un’avventura che sicuramente li porterebbe in un vicolo cieco senza risultati, come lo sono stati gli ultimi scioperi del triennio passato.

Non ci sono alternative a percorsi difficili, magari tortuosi ma dove ciascuno dei soggetti in campo dichiara quali disponibilità ha nell’assumersi responsabilità utili a raggiungere determinati risultati. E per stare sul concreto la filiera dell’automobile in Italia si difende solo con un gioco di squadra tra aziende della componentistica dei veicoli (le plastiche e i tessuti, le vernici e i cavi, il vetro e le ceramiche), i sindacati dei settori e le istituzioni che devono premere sull’Ue e attuando politiche di sostegno economico sulla gamma di veicoli che realisticamente il mercato (e i redditi disponibili) può assorbire. Altro che vetture elettriche da decine di migliaia di euro che solo le élites possono permettersi! E di fronte a una chimica di base ormai decotta, che perde miliardi di euro all’anno tra Priolo, Brindisi e altri siti industriali cosa occorre chiedere e deve fare l’Eni? Un sindacato responsabile come quello dei chimici, dopo una prima protesta utile e necessaria deve richiedere, con l’appoggio del Governo (azionista di riferimento), un realistico piano di investimenti alternativi nelle bio raffinerie, nella chimica verde e sostenibile, per costruire e diffondere centri di addestramento per nuove competenze professionali e verificare la coerenza di Eni verso il rispetto di tempi, programmi, impegni da assolvere, onde evitare quaderni di promesse non mantenute che nel nostro Paese e in particolare nel Mezzogiorno non mancano.

Allora la strada è quella di stare ai tavoli di confronto, non abbandonarli, richiederne di nuovi, tormentare tutti gli interlocutori e le istituzioni affinché si trovino soluzioni, si mettano in campo responsabilità per progetti da condividere e da attuare nel tempo, monitorando e verificando le tappe e gli avanzamenti, chiedendo conto dei ritardi…

Il lavoro dei sindacalisti è spesso noioso, si rischia di essere percepiti come petulanti e rompi…, ma è l’unica strada, quella di chiedere di partecipare alle decisioni. Troppo facile sventolare solo bandiere, peraltro un po’ smunte dalla storia.

Le differenze tra i sindacati passano da qui, in particolare tra la Cisl e la Cgil, organizzazioni che hanno storie e tradizioni importanti; sorprende la Uil, oggi fanalino di coda di un treno condotto da altri, per la sua tradizione riformista e che sui diversi tavoli nei territori e nei vari settori assume sempre posizioni molto partecipative e responsabili. Ci saranno ragioni a cui i vertici romani tengono molto e che a molti commentatori sfuggono, sindacalisti della stessa Uil compresi. Pazienza, ce ne faremo una ragione, prima o poi.

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