Non è mica vero che il mondo è alla rovescia. anzi va come deve, come’è sempre andato, come andrà anche domani, almeno se uno lo sa guardare. Se invece uno rimira le fette di salame di cui si è cosparso il volto e le giudica degli Ufo inviati da Marte per distruggere la bella civiltà occidentale, allora è altra roba. Roba di un mondo, questo sì, alla rovescia. La prova provata che il mondo non è alla rovescia sono quelli che si comportano normalmente, hanno equilibrio e sale in zucca, chiamano ancora le cose col loro nome. Ad esempio, la prova provata che il mondo è normale è che ci sarà uno sciopero.
Ma non avevi appena finito di dire, borbotterà qualche saperlalunghista, che lo sciopero non serve? Intendiamoci: lo sciopero non serve quando è uno sciopero “laqualunque”, ma se lo si fa quando si deve… Allora è altra roba. E di grazia, vossia vorrebbe spiegarci quando sarebbe che uno sciopero serve? Elementare: “sciopero è quando serve per portare a casa qualcosa” e non invece quando lo si fa per levare le castagne dal fuoco di chi non sa come muoversi.
La notizia dell’altro giorno è che Fim-Cisl, insieme a Uilm-Uil e Fiom-Cgil hanno proclamato uno sciopero nazionale. Piccolo particolare: per ottenere un Contratto nazionale dei Metalmeccanici che dal loro punto di vista sia qualificabile almeno come dignitoso.
Si badi bene: al contrario della settimana scorsa per compiere un gesto così eclatante è stato necessario aprire il tavolo delle trattative contrattuali e non invece un banale annuncio, uno dei tanti peraltro, del Governo.
Ora: in Italia l’economia e l’industria hanno la stessa attenzione che si può riservare a dei ghiaccioli al Polo Nord, sono sottoposte alle amorevoli cure che Mike Tyson riservava ai suoi avversari sul ring, godono della stessa considerazione che le tele di ragno hanno in un vecchio fienile; l’automotive va male e il Governo pensa (se e quando ci pensa) di rilanciarla rispolverando vecchi modelli (di motori, mica di piani industriali, non sbagliatevi); il sistema produttivo ha un calo di decine di punti percentuali e le previsioni future sono rosee come una galleria senza luci: quindi, penseranno i cultori del mondo alla rovescia, in queste condizioni c’era proprio bisogno di scioperare e tu hai pure la faccia tosta di inneggiare allo sciopero? Possibile che anche il vostro modesto scribacchino (che siamo noi medesimi, direbbe Totò) si sia iscritto alla corsa ad abbattere il Governo sulla base di scioperi e fermate della produzione?
Mannò, mannò: mica che il Governo ci piaccia, ma in democrazia devi accettare anche quel che ritieni dannoso se la maggioranza lo ha scelto in libere elezioni. Gli è che per noi nel mondo normale lo sciopero è una possibilità, un’arma, una congiuntura che rientra tra quelle che si possono usare (possono, mica devono) quando non funzionano i normali canali di trattativa, quando ci si impantana nella discussione. In queste condizioni lo sciopero è come un miorilassante: serve a sciogliere i muscoli, a capire e far capire, dove si vuol arrivare.
Il contratto metalmeccanico è indubbiamente il più importante e meglio scritto che ci sia: ha sempre fatto da apripista agli altri rinnovi, ha sperimentato prima di chiunque istituti e sentieri contrattuali che a prima vista sembravano impraticabili. Ad esempio, secondo il Ccnl metalmeccanico non si fa sciopero prima che rappresentanze industriali e sindacati si siano incontrati per un certo numero di volte a discutere dei contenuti. Non si sciopera a prescindere o per ragioni politiche, ma solo dopo che si è visto che la discussione non avanza, e quando le parti sono ferme.
Come sempre quando non si scivola sul piano confederale e politico, tanto caro al compagno Landini, anche questo sciopero ha una concretezza spaventosa e riguarda l’aumento salariale che la parte datoriale vorrebbe limitare a 178 euro nei prossimi quattro anni (mentre i sindacati ne chiedono almeno 280 in tre) o la fondamentale chiusura (dal punto di vista sindacale) di Federmeccanica su tanti argomenti anche rilevanti. C’è poi anche una novità di sostanza che rende questa trattativa piuttosto particolare: i rappresentanti degli imprenditori hanno messo a punto una “contropiattaforma” contrattuale nella quale hanno presentato le loro proposte mentre di solito – vedete che il mondo si muove e non è per nulla alla rovescia? – questa era una mossa riservata ai sindacati. Segno che le relazioni industriali avanzano, che ci sono discussioni e anche bracci di ferro, ma segno soprattutto che qui siamo nel capo della normalità: i lavoratori vogliono più soldi, più diritti, più tutele, gli imprenditori piangono miseria, si stracciano le vesti, avanzano proposte che a volte sembrano quasi micragnose, ma intanto si discute, ci si irrita, si sciopera finanche, ma ognuno fa il suo mestiere alla ricerca del meglio per sé (e anche per il sistema).
Le accuse reciproche sono pesanti (“caos negoziale”, “proposte irragionevoli”), ma vivaddio si sta parlando di cose concrete, di intese che tutti vogliono raggiungere, di diritti che devono trovare equilibri generali e che non possono (né qualcuno davvero vuole che lo siano) essere scissi dal bene comune e dalla sostenibilità. Ma almeno si parla di concretezza: e se uno sciopero deve essere, è a questo che deve mirare. Perché ci sono in ballo i salari, cioè il benessere della gente. E fin che si parla del Ponte di Messina possiamo sorbirci le sciroccaggini di Banana36 e di Vongola75, ma quando si fiata di busta paga, cioè quando il gioco si fa duro e teso, direbbe Guccini, allora entrano in campo i duri. Cioè quelli che sanno misurare le azioni e muoversi secondo ragionevolezza. In sostanza i sindacati che pretendono solo di fare il loro mestiere e che si rifiutano di supplire alle carenze altrui.
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