Le ultime crisi economiche, e con maggiore impatto la crisi indotta dalla pandemia, hanno accelerato cambiamenti profondi, che erano avviati nel mercato del lavoro, ma che probabilmente avrebbero impiegato più tempo per manifestarsi appieno. La globalizzazione dei mercati e la possibilità di spostare le produzioni nei Paesi con minor costo del lavoro e la finanziarizzazione con la ricerca della massima estrazione di valore dalle filiere produttive hanno creato una struttura del lavoro che ha prodotto una divaricazione fra lavori con competenze professionali e lavori a bassa competenza. Divaricazione di redditi e di tutele. Le fasce deboli del mercato si sono trovate ancora meno tutelate e portate ad accettare condizioni salariali che non assicurano la copertura dei bisogni famigliari.
Le crisi hanno accentuato e accelerato questi processi e hanno messo in crisi molti dei sistemi di tutela dei lavoratori che erano stati introdotti in periodi economici diversi. La trasformazione tecnologica e la digitalizzazione hanno anch’esse contribuito a destabilizzare modelli di sostegno dei lavoratori di fronte alle trasformazioni dei cicli produttivi.
I Paesi che avevano sviluppato nel tempo un buon sistema di politiche attive del lavoro, supportate da una rete di servizi capaci di seguire i cambiamenti, hanno dimostrato una buona capacità di leggere quanto stava succedendo e hanno elaborato strumenti di intervento adeguati a supportare le transizioni lavorative.
A fianco e a sostegno della nuova strumentazione è spesso intervenuto il sindacato, in accordo con le rappresentanze imprenditoriali, sviluppando fondi bilaterali per intervenire nell’implementazione delle competenze dei lavoratori e per sostenere anche lunghi periodi di formazione.
Nel nostro Paese scontiamo un grave ritardo nei servizi al lavoro. La rete dei Centri per l’impiego è prevalentemente dedicata a svolgere compiti burocratici e un sistema di politiche attive è una realtà solo in una minoranza di regioni. Aggiungiamo che l’atteggiamento sindacale si è caratterizzato più per la difesa dei sistemi di ammortizzatori esistente che per interventi tesi a introdurre nuove tutele. Per un lungo periodo questa impostazione ha portato a tutelare solo chi era già occupato e con contratti a piene tutele lasciando scoperti i nuovi lavoratori. Spesso erano proprio questi ad avere condizioni di scarsa tutela e con salari fuori dai contratti nazionali dei principali sindacati. I tentativi di riforma portati avanti dalle componenti riformiste dei partiti di centro e centrosinistra hanno spesso indotto a fratture sindacali perdendo però così parte della forza di impatto necessaria per cambiare profondamente abitudini e applicazioni delle norme in senso progressista.
La sfida per le rappresentanze sindacali posta con forza dalle crisi che si sono susseguite chiede una revisione profonda. Chiede al sindacato di essere rappresentante degli interessi dei lavoratori, ma anche di essere protagonista dell’organizzazione di parte delle risposte che il nuovo welfare richiede di mettere in campo.
La fase congressuale della Cisl apertasi in questi mesi ha dato fiato a questo cambiamento di prospettiva che dovrà coinvolgere tutte le forze sindacali. Ha riportato al centro del dibattito un sindacato che affronta il cambiamento cercando sempre di tenere spazi di trattativa, spazi di libertà per i lavoratori, ma accettando in ogni caso l’assunzione diretta di responsabilità.
Fra i contributi preparati per arricchire il dibattito congressuale è arrivato un documento dei metalmeccanici cislini che segna una svolta nelle piattaforme sindacali dedicate alle politiche attive del lavoro.
Il documento parte dalla presa di coscienza dei cambiamenti avvenuti e delle sfide aperte dalle trasformazioni produttive in corso. Il lavoro non è più un posto che spesso non cambia per tutta la vita. Il lavoro è sempre più un percorso di lavori che caratterizza l’arco della vita lavorativa. Le ultime crisi hanno accelerato fenomeni di cambiamento. Lo stesso impegno per l’attuazione del programma Next Generation Eu richiede di introdurre cambiamenti nel lavoro e nelle forme della produzione aprendo una domanda di servizi che sostenga le transizioni del lavoro che saranno aperte. Transizioni che riguarderanno cambiamenti di lavoro o transizioni professionali che richiedono solo percorsi formativi per acquisire nuove competenze.
La proposta è che si dia finalmente vita a un sistema di servizi al lavoro capaci di prendersi carico delle diverse situazioni che determinano transizioni lavorative e che abbia la capacità di proporre le soluzioni personalizzate in grado di rispondere alle diverse esigenze. È una rete di servizi, pubblici e privati, che assicura un servizio a carattere universale con poi la personalizzazione del servizio per per ogni lavoratore preso in carico. Si ribalta la confusione attuale di tanti provvedimenti singoli che cercano di rispondere a tutti i target di bisogno prevedibili, creando disparità e inefficienze. La base dei servizi è assicurata a tutti ed è nell’elaborazione dei percorsi individuali che si mette mano ai diversi strumenti per ottenere il percorso migliore per ogni singolo lavoratore.
In questo nuovo quadro si aprono spazi nuovi per introdurre forme contrattuali che, soprattutto per i percorsi di inserimento lavorativo (tirocini, stages, somministrazione), riconoscano che si tratta di contratti di lavoro con piene tutele e mettano fine agli abusi attuali.
Ancora più significativa, dal punto di vista culturale e sociale, è la sfida che il sindacato si propone di giocare in prima persona. Per le transizioni che riguardano comparti produttivi o territori, che coinvolgono pertanto processi di trasformazione collettivi, si candida a esercitare direttamente il ruolo di progettista e fornitore di servizi a sostegno della transizione lavorativa. Assicura il ricorso ai fondi bilaterali esistenti e a nuove risorse da individuare nei contratti di lavoro, ma torna soprattutto a usare la propria capacità di elaborazione per sostenere la difesa della qualità e della dignità del lavoro di tutti.
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