L’ultimo ad avere usato un linguaggio simile era stato Beppe Grillo, e vediamo oggi che fine ha fatto. “Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno”, aveva garantito. Era il 2013 e il comico si preparava a schierare il suo partito. Ora il nuovo agitatore del populismo di sinistra si chiama Maurizio Landini ed è il capo del maggiore sindacato italiano, la Cgil, oltre che azionista di maggioranza del Pd: se non come numero di tessere, lo è come grande sponsor di Elly Schlein, per eleggere la quale ha portato una massa determinante di persone ai gazebo delle primarie.
Dalla scatoletta grillina da aprire siamo passati a “noi vogliamo rivoltare questo paese come un guanto”. “Rivoltare” non è un termine usato a caso perché Landini evoca proprio una “rivolta sociale” che “per noi significa dire che ognuno di noi non deve voltarsi da un’altra parte di fronte alle ingiustizie, anzi, deve passare l’idea che solo mettendoci insieme possiamo cambiare questa situazione”. Le truppe sarebbero i lavoratori scesi nelle piazze di tutta Italia nella giornata di ieri per lo sciopero generale che Cgil e Uil hanno proclamato contro la manovra finanziaria prima ancora che essa fosse varata.
È chiaro che l’intento delle due confederazioni è tutto politico, del resto Landini non lo nega. I problemi dei lavoratori e dei ceti medio-bassi sono reali, ma il leader della Cgil li impugna come arma impropria da agitare contro il governo Meloni. Le tensioni sociali come micce per scatenare la rabbia. A Torino, ex capitale dell’industria meccanica, gli animi sono stati incendiati – non solo metaforicamente – da frange esagitate che hanno dato fuoco a sagome della premier Meloni e dei ministri Salvini e Crosetto. Manifestazioni violente, che andrebbero condannate, accadono invece sotto l’ombrello della libertà sindacale.
Grillo si trasferì dalle piazze alle urne per raccogliere il suo consenso come movimento politico. Landini invece si fa scudo del Pd targato Schlein usando il sindacato come agitatore sociale in grado di rovesciare gli equilibri della politica. I numeri delle astensioni dal lavoro, secondo i calcoli di Salvini, sono abnormi: in 25 mesi di governo Meloni si contano 1.342 scioperi proclamati e 949 effettuati, 38 al mese, di cui 518 proclamati e 374 effettuati a livello nazionale, più di uno al giorno. Quando a Palazzo Chigi c’era Draghi, invece, si ebbe una specie di “pace sindacale”. Chissà perché.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.