La fine del lockdown imposto all’Italia dallo scorso 4 maggio con l’avvio della Fase 2 ha portato a far emergere un nuovo fenomeno che gli esperti definiscono “sindrome della capanna”. Si tratta di una sorta di sindrome di Stoccolma rivisitata dove, con le dovute cautele semantiche, ritroviamo la contrapposizione tra ostaggio e rapitore. Dove gli ostaggi sono milioni di italiani e il carceriere può avere una valenza differente. A ciascuno di noi la scelta: può essere il virus, il governo o addirittura possiamo essere noi stessi. Siamo in un momento particolare in cui molti sono spaventati dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria ancora in atto. Le misure restrittive imposte dal governo poco alla volta si allentano, ma per qualcuno continuare ad oltranza la propria quarantena potrebbe rappresentare la soluzione più idonea per avere un po’ di conforto. Non si tratta affatto di una situazione rara ma anzi secondo le stime della Società italiana di psichiatria, a soffrirne è circa un milione di italiani che ora ha paura di tornare alla normalità, sentendosi quindi più al sicuro nel proprio confinamento. La paura maggiore di tornare alla vita prima del Coronavirus è quella di essere contagiato dal Covid-19 e contagiare a propria volta i familiari. Ma c’è anche chi, solitamente poco propenso a modificare le proprie abitudini, ora che ha stabilito una nuova routine fatica a tornare a quella precedente, vivendola come una sorta di dramma. Infine, chi si è trovato a suo agio nel nuovo stile di vita più casalingo ed ora prova ansia negli obblighi sociali e lavorativi che segnano un graduale ritorno alla normalità.
SINDROME DELLA CAPANNA: COS’È E SINTOMI
La “sindrome della capanna”, come viene definita in psichiatria, in questo momento delicato è particolarmente giustificata dal forte disorientamento che caratterizza la vita di tutti noi. Molti quindi potrebbero trovare consolazione nell’isolamento imposto scegliendo quindi consapevolmente di restare chiusi tra le mura della propria casa. Una reazione più che legittima, come evidenziano gli studiosi soprattutto alla luce di un trauma condiviso a livello mondiale. Tuttavia, come spiega GQItalia, essendo l’uomo un animale sociale caratterizzato da un’innata capacità di adeguarsi alle condizioni esterne, ogni paura dovrebbe venire meno nel giro di tre settimane al massimo. In caso contrario il problema potrebbe essere più serio del previsto. Le preoccupazioni per il futuro personale ed economico, per la precarietà del lavoro potrebbero scatenare anche dei sintomi fisici come ad esempio insonnia e frustrazione ma anche difficoltà di concentrazione che potrebbero scaturire in disturbi ancora più gravi come attacchi di panico o addirittura depressione. In questo caso occorre fare attenzione agli eventuali campanelli d’allarme e rivolgersi eventualmente ad uno specialista al fine di intraprendere il trattamento più corretto contro la sindrome della capanna.