Si torna a parlare di sindrome di Stoccolma, una condizione psicologica particolare nella quale le vittime di un rapimento si affezionano ai loro sequestratori. Un paradosso del comportamento umano associato alla vicenda di Silvia Romano, in quanto fonti investigative hanno ipotizzato che la conversione all’Islam della giovane volontaria possa essere frutto della situazione psicologica legata al contesto in cui ha vissuto per 18 mesi. Non sono molto chiare le cause di questa sindrome, ma ci sono esperti che ritengono che questo legame derivi dallo stato di dipendenza che si crea tra il rapito e i rapitori, i quali controllano elementi essenziali come cibo, aria, acqua e sopravvivenza. Da qui i sentimenti di gratitudine e riconoscenza che si manifestano. Secondo un punto di vista psicoanalitico, si tratta di un meccanismo difensivo. Non è, inoltre, chiaro quanto duri la sindrome di Stoccolma, ma può sussistere anche per diversi anni. Oggi viene associata alla sindrome da stress post-traumatico, che è trattato con farmaci e psicoterapia. (agg. di Silvana Palazzo)
SINDROME DI STOCCOLMA, COS’È E COSA C’ENTRA SILVIA ROMANO
Sono tante le domande attorno alla liberazione di Silvia Romano. Tra queste ce n’è una che tira in ballo la “sindrome di Stoccolma”. La giovane volontaria della onlus Africa Milele avrebbe rivelato di essersi convertita all’Islam per libera scelta, una circostanza che è stata confermata da fonti investigative, secondo cui la conversione potrebbe essere frutto «della condizione psicologica in cui si è trovata durante il rapimento». Queste fonti investigative citate dall’Agi non hanno fatto riferimento esplicito alla sindrome di Stoccolma, ma di una condizione psicologica che potrebbe essere temporanea, legata al contesto in cui la ragazza ha vissuto in questi 18 mesi, «non necessariamente destinata a durare nel tempo». L’ipotesi è che si tratti di quella condizione che prende il nome da una rapina finita in modo bizzarro. Cos’è la sindrome di Stoccolma? L’espressione è stata coniata da Conrad Hassel, agente speciale dell’FBI, ora viene usato per definire il rapporto di complicità che si crea tra la vittima di un sequestro e il suo rapitore.
SINDROME DI STOCCOLMA, COME INSORGE
L’espressione sindrome di Stoccolma è stata usata dopo un episodio accaduto in Svezia nel 1973. Due rapinatori tennero in ostaggio per 131 ore quattro impiegati nella camera di sicurezza della Sveriges Kreditbank di Stoccolma. Emerse che durante il periodo di prigionia le vittime temevano più la polizia dei rapinatori. Una delle vittime sviluppò poi un forte legame sentimentale con uno dei rapitori, durato anche dopo la rapina. Dopo il rilascio i sequestrati chiesero la clemenza per i rapinatori e durante il processo alcuni ostaggi testimoniarono in loro favore. Ma perché si verifica questa condizione? La vittima, dopo aver superato il trauma iniziale, torna consapevole e quindi cerca un modo per sopportarla. Nel frattempo, vittima e rapitore continuano a trascorrere tempo insieme e questo, unito alla mancanza di forti esperienze negative, facilita l’insorgenza della sindrome di Stoccolma. Silvia Romano, ad esempio, ha raccontato di non aver subito violenze e di essere stata trattata bene dai suoi sequestratori. Al momento però non ci sono riscontri sul fatto che questa possa essere la condizione in cui si trova la giovane volontaria liberata.