Quando si parla di sindrome di Stoccolma si fa riferimento a quella condizione in base alla quale solitamente la vittima di un sequestro si affeziona inspiegabilmente al suo sequestratore, nonostante da parte di quest’ultimo ci sia stato anche l’uso di violenza. Uno stato psicologico paradossale che, secondo i criminologi, è molto più diffuso nella società di quanto si pensi.



A riportarlo su Agi è stata la criminologa presso l’Istituto di Scienze Forensi, Micol Trombetta: “Basta poco a capire che si tratta di uno stato psicologico comune a quello di molte donne ogni giorno vittime di violenza. Si parla di Sindrome di Stoccolma solitamente per le vittime di un sequestro ma si tratta di una condizione psicologica molto simile a quella di chi vive ogni giorno abusi all’interno delle loro relazioni. Anche in quel caso le vittime dichiarano di amare ancora i loro uomini, di essere grati perché in fondo non si sono spinti ‘troppo in là’.”



DA COSA SCATTA LA SINDROME DI STOCCOLMA? ‘LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA’

Come ha spiegato la criminologa “si tratta di una difesa inconscia messa in atto dal cervello che, sottoposto a un trauma, lotta per la sopravvivenza creando un clima di affetto, simpatia e in alcuni casi anche di amore nei confronti del proprio aguzzino. Un contesto che, si spera, dovrebbe spingere il proprio carceriere ad avere un comportamento più umano”. E ancora: “Si tratta di una condizione psicologica che si può trovare in ogni aspetto della vita, quindi anche in un contesto lavorativo per esempio dove capi o colleghi fanno del mobbing. Se è vero che di norma si parla di Sindrome di Stoccolma nei casi di sequestro per sequestro si può intendere qualsiasi tipo di privazione della libertà personale in tutti gli ambiti della vita.”



Insomma, si tratterebbe di uno stato che potrebbe svilupparsi in chiunque senza che l’interessato se ne possa rendere conto e in qualsiasi condizione. Basta un gesto gentile da chi è in realtà ‘carnefice’ per far sviluppare nella vittima gratitudine e affetto. Il caso più tipico è quello degli ostaggi di un sequestro che diventano emotivamente debitori nei confronti dei loro rapitori perché non li hanno uccisi e perché li hanno tenuti in vita dando loro cibo e acqua.