La sinistra ha un serio problema nel separare la causa della Palestina da Hamas. Da un lato c’è Etgar Keret, scrittore e regista israeliano, che al Corriere ha spiegato come la sinistra europea non riesca a fare questa distinzione con l’organizzazione “fondamentalista, misogina, omofoba, controllata dall’Iran“. Dall’altro c’è Judith Butler, filosofa e attivista di riferimento della sinistra americana, secondo cui “Hamas e Hezbollah sono movimenti progressisti e parte della sinistra globale“. A spiegare come la sinistra antifascista e antinazista, cresciuta col mito dell’Armata rossa che ha liberato Auschwitz, sia passata al giustificazionismo di chi fa strage di ebrei, è Maurizio Crippa sulle colonne del Foglio, dove torna indietro, alla storia dell’antisionismo di matrice comunista tracimato nell’antisemitismo.



In effetti, dopo la strage del 7 ottobre di Hamas, che ha innescato la guerra con Israele, in molti si chiedono come la sinistra che ha sconfitto il nazismo si sia ribaltata in un antisionismo esplicito. Lo ha sottolineato anche Politico, che sottolinea “una narrativa della decolonizzazione pericolosa e falsa“. Per Crippa una parte della risposta risiede nel Dna del comunismo, sovietico e internazionale, nel quale antisionismo e antisemitismo hanno convissuto. E cita lo storico Gabriele Nissi, che lo chiama “il grande equivoco del comunismo nel mondo ebraico“. I rapporti tra Urss ed ebrei non furono sempre lineari, ma comunque positivi. Ad esempio, nel 1942 il governo sovietico lanciò un comitato antifascista ebraico-sovietico per incrementare la lotta al nazismo. Dopo la guerra, l’adesione fu massiccia. Ma le cose cambiarono nel giro di pochi anni.



I SOSPETTI SUGLI EBREI E L’ANTISEMITISMO “DEMOCRATICO”

All’iniziale disegno di integrazione degli ebrei nelle nuove dirigenze si sostituì il sospetto stalinista verso un’autonomia incoercibile. Non vanno sottovalutati poi gli antichi pregiudizi. Quindi, ci fu un cambiamento di rotta. “Gli ebrei tornarono a essere sospetti“, scrive Maurizio Crippa sul Foglio, ricordando che nel 1948 il Comitato antifascista ebraico fu sospettato di “tendenze nazionaliste” e chiuso per “attività anti-sovietica“. Centinaia di intellettuali furono arrestati. Nel 1953 ci fu poi il cosiddetto “complotto dei medici“, accusati di aver attentato alla vita di alti funzionari. Più della meta erano ebrei, sospettati di essere manovrati dall’intelligence occidentale e di essersi infiltrati nel Partito comunista. L’ebreo tornò così ad essere un potenziale nemico, un soggetto più propenso al tradimento.



Pravda accusava la borghesia nazionalista ebraica di essere “al soldo dell’imperialismo americano” e di provare a “influenzare i nostri cittadini di origini ebraiche“. Era il sospetto plutogiudaico, rimasto nel Dna della sinistra. Infatti, Fiamma Nirenstein nel suo libro “Gli antisemiti progressisti – La forma nuova di un odio antico” del 2004 parlava di un antisemitismo “democratico” che identifica Israele con l’imperialismo e la Palestina come vittima sacrificale. Crippa sul Foglio cita anche François Furet, secondo cui l’utopia comunista è sopravvissuta alla crisi dell’Urss trasferendosi in “diversi campi sostitutivi”, ad esempio il “mito del terzomondismo anticoloniale, in cui il movimento di liberazione della Palestina non poteva non avere un posto d’onore“. Il problema è che Israele è diventato la “succursale del complotto occidentale“.