La vita non è una questione di numeri. Però hanno la loro importanza. Perché passare da essere 1592esimo nel ranking mondiale del tennis a primo nel giro di poco più di sei anni non è impresa da tutti, ma da Sinner sì. Lo Jannik (in italiano sarebbe Giovanni) nazionale, largo di sorriso e fulvo di crine al punto che gli aderenti al suo fan club sono detti Carota Boys, si è issato ieri più in alto di tutti spodestando sui campi di Notre Dame de Paris nientemeno che sua maestà Novak Djokovic, che su quel trono c’è rimasto la bellezza di 428 settimane di fila. Mai nessun italiano ha potuto guardare da così in alto il rettangolo rosso diviso a metà da una rete su cui rotola (ma sarebbe meglio dire schizza, fionda, turbina, vola) la pallina bianca di uno degli sport più amati al mondo.



A poco più di vent’anni Jannik Sinner è già un mito. Non vogliamo, però, fare la becera figura di certi giornalisti sportivi pronti a osannare il campione di turno per poi abbandonarlo al suo destino appena arriva il primo temporale. Il tennis è semplicemente uno sport, seppure di nobili natali e circondato da mille attenzioni e mille sponsor e come tutti gli sport è un gioco: particolare che in tanti sembrano dimenticare, travolti come sono dal business che connota le discipline più amate.



“Devo cercare di divertirmi e di essere più felice in campo” è una sua dichiarazione d’amore pronunciata un anno fa sempre nella capitale francese che la dice lunga su quello che Sinner mostra di essere: un ragazzo semplice, cresciuto fra le montagne della Val Pusteria – angolo meraviglioso d’Italia che per i suoi avi era Austria – in una famiglia normale, tenace nel perseguire gli obiettivi e senza grilli per la testa, in una parola un ragazzo “serio”. Una volta tutte le nonne e le mamme dicevano così per indicare alle nipoti e alle figlie da marito l’uomo giusto da sposare. Oggi quell’immagine è caduta in disuso, forse perché si tende a confondere la serietà con la noia. Invece Sinner ha il sorriso stampato sul volto quando affronta le conferenze stampa come quando accoglie sotto l’ombrello, in una pausa forzata dal meteo, la ragazzina che funge da raccattapalle o quando non si arrabbia se un ragazzino entra in campo durante un “set” facendogli perdere il punto. Perché sembra che il suo mondo sia diverso da quello di tanti suoi colleghi, nel tennis come in altre discipline, preoccupati solo di vincere e incapaci di gestire le sconfitte: “Se vinco esulto, se perdo imparo” è diventato il suo motto.



Un ragazzo serio, Sinner, che però non dobbiamo, per favore, mettere sul piedistallo: oggi è tra gli atleti più famosi al mondo, domani chissà. La felicità, come la vittoria in un torneo, non è eterna. Carpe diem ovvero “di doman non c’è certezza”, almeno con una racchetta in mano. Jannik Sinner da San Candido (toponimo che sembra ritagliato apposta su di lui), 23 anni il prossimo 16 agosto, gioca per vincere, ma senza l’ansia di poter perdere perché sa che l’esistenza – anche la sua, ora che è il numero uno – è infinitamente più grande di un campo da tennis.

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