L’Amazzonia, da qualche mese, non è solo un punto geografico, ecologico o naturalistico: è divenuta anche campo di battaglia per un’accesa discussione all’interno della Chiesa cattolica. Inizia oggi, a Roma, il sinodo dell’Amazzonia: un incontro di tre settimane nella Sede di Pietro, con Pietro e tutti i vescovi della regione. “Ma chissenefrega di un sinodo sull’Amazzonia!”, potrebbero obiettare i più. Ci dovrebbe interessare perché, anche se l’attenzione è fissata su un luogo particolare, ha valenza per la Chiesa universale. “Il Papa vuole distruggere tutta la dottrina della Chiesa”, sostengono i detrattori tentando, invano, di assediare il Papa. Di ridurre al silenzio la voce dello Spirito. È davvero questo il sogno di un Papa che, carte alla mano, ogni giorno mostra di avere a cuore la dottrina? Il curato di campagna, quello narrato da George Bernanos, si interrogò pure lui e cercò una risposta: «Non è forse meglio mostrare come la Chiesa sia ancora più grande, più bella, più degna della loro fiducia e del loro amore quando è in procinto di riformarsi, più di quando viene situata in un empirico fittizio e illusorio d’immobilità e di perfezione?» C’è chi sottoscrive, c’è chi dissente: è la libertà.



In ogni fase critica, poi, c’è chi invita a stare sulla difensiva e chi incoraggia all’offensiva: le vecchie menti invocano la tradizione, quelle giovani l’evoluzione. Non si tratta di sapere quale è meglio e quale è peggio: si tratta di capire chi comanda l’uomo. Per questo, come è di tutte le cose, tra lo stare in difensiva e l’andare all’offensiva, c’è il prendere l’iniziativa. È il sogno di questo sinodo, che è frutto di un ascolto della Chiesa locale, della gente, della loro storia, della loro terra: due anni di preparazione con 80mila persone interpellate dicono che non è una cosa calata dall’alto, un colpo di matto. Quando la Chiesa vuole fare sul serio, si rammenta il dovere dell’invito e della partecipazione. Ecco, allora, che il sinodo dell’Amazzonia interessa la Chiesa di Padova come anche la più esigua delle parrocchie sperdute sulla faccia della terra: perché difendere la vita, la terra e le culture è fare i conti con un intreccio legato inevitabilmente al rapporto con la gente, la cultura e la società di un determinato posto.



L’Amazzonia non è l’Italia ma la Chiesa, anche se pare strano a dirsi, è la medesima: tant’è che anche dei sacerdoti padovani operano laggiù. Ecco che il sinodo ci sta a cuore proporzionalmente a quanto la Chiesa ci è madre: quando si parla della propria madre, magari colta in un momento complicato, tutto il resto scema la sua importanza. “Siamo preoccupatissimi perché il Papa, vedrai, farà sposare i preti”. È forse la semplificazione più meschina tratta da chi, prima ancora che il sinodo inizi, vorrebbe sostituirsi allo Spirito per distrarre le menti dall’ascolto delle vere esigenze di un popolo, non di una claque nostalgica. Fosse vivo, Plauto avviserebbe che per mangiare la mandorla si deve rompere il guscio. Oppure, c’è libertà, prenotarsi una lungodegenza dal dentista.



Il fatto serio, per il quale varrebbe la pena seguire in diretta il sinodo, è per poi decidersi: tra una Chiesa-mausoleo e una Chiesa-giardino. Per custodire un museo basta una chiave, una telecamera, dei ticket d’ingresso: per coltivare un giardino è necessario, prima di tutto, ascoltare le esigenze della terra e mettere in conto di sporcarsi di fango.

Nel frattempo lo Spirito sorride: la sua specialità è pungolare, di sorpresa, il cristianesimo: che, addormentandosi, non si decomponga.

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