Il grande Sinodo della Chiesa inaugurato negli scorsi giorni da Papa Francesco rappresenta un punto dirimente della situazione attuale e futura della “Sposa di Cristo” dopo gli ultimi anni rappresentati (spesso mediaticamente) quasi solo con scandali, dissidi e scontri interni.
Su “Libero Quotidiano” dello scorso 18 ottobre il giornalista cattolico Antonio Socci, spesso molto critico in passato con il Pontificato di Francesco, prova a tracciare i punti cardine del Sinodo 2021-2023: «quello cominciato il 10 ottobre a Roma e ieri in tutte le diocesi cattoliche del mondo, è un Sinodo sulla “sinodalità”. Un tema che sembra un cortocircuito», contesta lo scrittore toscano, «soprattutto se si pensa che Papa Bergoglio fin dall’inizio ha giustamente tuonato contro la Chiesa “autoreferenziale”, cioè la Chiesa che si occupa di se stessa». Lo stesso Pontefice infatti nell’omelia della Santa Messa di apertura del Sinodo, sottolineava così il vero fulcro di questa opera iniziata dalla Santa Chiesa, «Fare Sinodo significa camminare sulla stessa strada, camminare insieme. Guardiamo a Gesù, che sulla strada dapprima incontra l’uomo ricco, poi ascolta le sue domande e infine lo aiuta a discernere che cosa fare per avere la vita eterna. Incontrare, ascoltare, discernere: tre verbi del Sinodo su cui vorrei soffermarmi».
IL SINODO TRA “CARTA” E “VERBO”
Il vero rischio sottolineato da Socci – che resta comunque critico sulla scelte di fondo degli ultimi anni sia del Santo Padre che della Chiesa odierna, secondo lui troppo ripiegata sugli scandali e non dedita abbastanza al crollo delle vocazioni – è che vi possano essere «troppe chiacchiere» e poca sostanza. «Fra tanta carta cosa resterà del Verbo?», si chiede ancora il giornalista, «dove gli uomini del XXI secolo troveranno concretamente il consolante abbraccio del Figlio di Dio, il vero Samaritano che comprende, sostiene, guarisce le ferie e salva?». Con un commento durissimo (e molto discutibile nella sua radicalità) Socci accusa la Chiesa negli ultimi anni di avere fatto «il mestiere della Cgil e dell’Onu», ovvero di «non aver convertito nessun “lontano”, nessun “compagno”, mentre in compenso ha perso per strada i vicini e tanti figli, dimenticando di fare il mestiere suo, annunciare il Verbo di Dio, Gesù Cristo unico salvatore del mondo». In realtà sempre il Papa nell’Omelia di apertura del Sinodo metteva in guardia sul medesimo rischio: «noi, che iniziamo questo cammino, siamo chiamati a diventare esperti nell’arte dell’incontro. Non nell’organizzare eventi o nel fare una riflessione teorica sui problemi, ma anzitutto nel prenderci un tempo per incontrare il Signore e favorire l’incontro tra di noi. Un tempo per dare spazio alla preghiera, all’adorazione – questa preghiera che noi trascuriamo tanto: adorare, dare spazio all’adorazione –, a quello che lo Spirito vuole dire alla Chiesa». Secondo il giornalista di “Libero”, con il Sinodo la Chiesa si gioca la sua stessa sopravvivenza anche se, citando Monsignor Camisasca in suo recente articolo su “Avvenire”, una speranza per Socci v’è lo stesso: «sinodo vuole dire camminare assieme e quindi accogliersi reciprocamente nelle tante diversità», accogliendo il Salvatore «convertendosi e annunciandolo al mondo». Il parallelo tra la crisi della Chiesa oggi e quella post-Concilio e post-68 viene tracciato dal giornalista al termine del suo intervento: «sembrava la fine», ma con l’arrivo improvviso del “ciclone Wojtyla” di colpo iniziò invece la «Primavera della Chiesa». Vi è l’urgenza di Santi più che riformatori, ma soprattutto vi è l’urgenza di rifarsi sempre a Colui unico in grado di liberare il mondo dal “peccato” e dal “male”: come più volte detto anche da Papa Benedetto XVI e Francesco, «servono testimoni di fede».