“Vogliamo, con tutti voi, rendere grazie a Dio per la bella e ricca esperienza che abbiamo appena vissuto”. Con queste parole inizia la Lettera al popolo di Dio che l’assemblea sinodale ha voluto indirizzare a tutta la Chiesa a chiusura della prima sessione della XVI Assemblea del Sinodo dei vescovi.
Si parla di esperienza, una parola quasi del tutto scomparsa dal vissuto delle nostre comunità cristiane. Si fa esperienza quando ci si apre alle sfide del mondo e si accettano le sue provocazioni per arricchire e irrobustire la fede e quindi l’io. Lo stesso Gesù usava questo metodo quando mandava i settantadue discepoli nei villaggi dove lui non poteva arrivare. Li mandava non solo per portare la novità della vita che vivevano con lui, ma anche per verificarne la portata per ciascuno di loro.
È esattamente quello che ha voluto fare Papa Francesco convocando il Sinodo. Quando il 10 ottobre di due anni fa aprì il Sinodo si espresse con queste parole: “Molte volte i Vangeli ci presentano Gesù ‘sulla strada’, mentre si affianca al cammino dell’uomo e si pone in ascolto delle domande che abitano e agitano il suo cuore… E oggi, aprendo questo percorso sinodale, iniziamo con il chiederci tutti: noi, comunità cristiana, incarniamo lo stile di Dio, che cammina nella storia e condivide le vicende dell’umanità? Siamo disposti all’avventura del cammino o, timorosi delle incognite, preferiamo rifugiarci nelle scuse del ‘non serve’ o del ‘si è sempre fatto così’?”.
La Lettera prosegue: “Sono già trascorsi due anni da quando, su richiesta di Papa Francesco, è iniziato un lungo processo di ascolto e discernimento, aperto a tutto il popolo di Dio, nessuno escluso, per ‘camminare insieme’, sotto la guida dello Spirito Santo, discepoli missionari alla sequela di Cristo Gesù”.
Si capisce che questo Sinodo non è come tutti gli altri che affrontavano alcuni aspetti specifici della vita cristiana. Con esso il Papa vuole come tastare il polso della Chiesa per vedere se il suo cuore batte, è vivo, è in grado cioè di ascoltare e accogliere le innumerevoli sfide del mondo e se esse aiutano la fede a ravvivarsi o invece la indeboliscono fino a scomparire.
Infatti – prosegue la Lettera – “utilizzando il metodo della conversazione nello Spirito, abbiamo condiviso con umiltà le ricchezze e le povertà delle nostre comunità in tutti i continenti, cercando di discernere ciò che lo Spirito Santo vuole dire alla Chiesa oggi. Abbiamo così sperimentato anche l’importanza di favorire scambi reciproci tra la tradizione latina e le tradizioni dell’Oriente cristiano. La partecipazione di delegati fraterni di altre Chiese e Comunità ecclesiali ha arricchito profondamente i nostri dibattiti”.
Che cosa Dio vuole dire alla Chiesa, oggi? È la domanda a cui è chiamata a rispondere non solo l’assemblea sinodale ma tutta la Chiesa. E la risposta non è preconfezionata o scontata. Può venire solo dall’esperienza e dal giudizio di chi ha visto le sfide e i problemi e li ha guardati con gli stessi occhi e lo stesso cuore di Cristo.
Viviamo un tempo difficile ma nello stesso tempo esaltante, perché mette sempre più in evidenza ciò che, oggi, è davvero necessario: il riscatto della persona. Il lungo periodo della pandemia, la crisi economica, i continui conflitti e barbarie che accadono nel mondo, hanno fiaccato non poco la persona fino ad estenuarla e frantumarla. Ne è la prova il continuo e sempre crescente rinchiudersi nel proprio individualismo e nella solitudine. Ma ne è anche la prova la crescente incapacità delle comunità cristiane – sia laici che preti – ad ascoltare e accogliere il grido e la domanda di chi non ce la fa più.
E allora, per un reale riscatto, non c’è altro atteggiamento adeguato di quello di Gesù che guardava il cuore della persona e il suo bisogno.
A tale riguardo la Lettera così prosegue: “Giorno dopo giorno, abbiamo sentito pressante l’appello alla conversione pastorale e missionaria. Perché la vocazione della Chiesa è annunciare il Vangelo non concentrandosi su se stessa, ma ponendosi al servizio dell’amore infinito con cui Dio ama il mondo (cfr Gv 3,16). Di fronte alla domanda fatta a loro, su ciò che essi si aspettano dalla Chiesa in occasione di questo sinodo, alcune persone senzatetto che vivono nei pressi di Piazza San Pietro hanno risposto: ‘Amore!’. Questo amore deve rimanere sempre il cuore ardente della Chiesa, amore trinitario ed eucaristico, come ha ricordato il Papa evocando il 15 ottobre, a metà del cammino della nostra assemblea, il messaggio di Santa Teresa di Gesù Bambino. È la ‘fiducia’ che ci dà l’audacia e la libertà interiore che abbiamo sperimentato, non esitando a esprimere le nostre convergenze e le nostre differenze, i nostri desideri e le nostre domande, liberamente e umilmente”.
Audacia e libertà interiore: ecco le due parole necessarie per questo tempo. Esse però saranno solo frutto di una coscienza che matura, la coscienza di essere stati scelti e che la storia personale di ognuno ha un peso nella storia di Dio.
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