“L’oggetto di questo Sinodo non sono le questioni dottrinali, ma l’apprendere a camminare, ad ascoltare e discernere insieme, e così facendo affrontare tutte le questioni che interpellano la Chiesa”. Queste parole di un membro del Sinodo sulla sinodalità, il card. Gérald Cyprien Lacroix, arcivescovo di Québec (Canada), nel briefing del 13 ottobre scorso in Sala stampa vaticana, sono interessanti e rivelatrici. Mostrano che non soltanto chi è spettatore esterno, come noi, ma anche chi partecipa in modo diretto all’esperienza sinodale si pone le domande fondamentali: perché questo sinodo? Come può aiutare la Chiesa nel cambiamento d’epoca che sta vivendo, e che la vede un po’ smarrita e frammentata? E continua: “La nostra diversità ci unisce: ci permette di crescere nella comunione e nella partecipazione. […] Ne facciamo esperienza qui, ma anche nelle nostre parrocchie, nelle assemblee nazionali e continentali. È la bellezza della diversità delle nostre tradizioni che prende tempo per riflettere, ascoltare e discernere ciò che il Signore dice alla nostra missione in questo momento preciso della storia”.



Pochi giorni fa, don Alberto Cozzi indicava bene l’urgenza per la Chiesa di oggi: il cambiamento d’epoca ci chiede in modo forte di riappropriarci della nostra fede. Le parole del card. Lacroix ci aiutano a comprendere come l’esperienza sinodale ci può essere d’aiuto e di sostegno nel cogliere questa urgenza, vivendo l’esperienza sinodale (sia dentro l’aula vaticana che nel quotidiano della vita cristiana) come uno stimolo per il nostro bisogno di comunione e di missione. In particolare, emergono tre vie interessanti per svolgere questo compito.



Prima via: imparare insieme a dare un nome al nuovo che ci provoca. Uno studioso, acuto interprete dei nostri tempi, sostiene che “dobbiamo imparare a vivere in modo non apocalittico questo tempo escatologico” (S. Žižek). I progressi della tecnoscienza e del digitale hanno accelerato la trasformazione culturale in atto, creando dei nuovi spazi di esperienza in cui siamo chiamati a giocare la nostra libertà per costruire le nostre storie individuali e comunitarie. La morte, l’identità, la generazione, la famiglia, il legame: tutte queste esperienze fondamentali della vita hanno bisogno di essere risignificate, talmente tanti sono i mutamenti che stanno conoscendo. Riappropriarci della nostra fede significa scegliere di affrontare in modo comunitario (in modo sinodale) questo compito, lasciando che la fede professata insieme illumini la Chiesa nel cogliere come Dio si fa carne anche oggi, assume la natura umana (questa natura umana) per redimerla e donarci la salvezza.



Seconda via: rispondere in modo immaginativo alla crisi organizzativa che tocca la Chiesa. Le ricerche sociali mostrano in modo impietoso come anche in Italia la Chiesa sta conoscendo un processo di decisa riduzione del proprio organico (meno preti, meno fedeli, ma anche e soprattutto meno battesimi). Non servono tuttavia le statistiche, basta la nostra esperienza quotidiana per percepire il declino organizzativo della forma istituita di esperienza cristiana che ci ha generato. La tentazione si annida in modo forte nella ricerca di ricette immediate che sappiano tamponare se non risolvere la crisi in atto.

Anche in questo campo, l’esperienza di momenti comunitari di riappropriazione della fede è essenziale: ci dà l’energia per resistere a questa tentazione, evitando di produrre esperimenti di ingegneria pastorale dal fiato corto e a forte impatto reattivo; e ci permette di scendere in profondità, di avere energie per immaginare la Chiesa, la “Gerusalemme celeste”, come un dono che ci viene da Dio. L’esperienza sinodale, in Vaticano come nel quotidiano delle nostre realtà ecclesiali, ci permetterà di trasformare l’ansia per il futuro delle nostre organizzazioni nella sete condivisa di luoghi in cui fare reale esperienza della presenza vivente di Dio, che ci dona il Figlio come risposta alla nostra profonda sete di amore, e ci guida nella nostra storia col suo Spirito.

Terza via: ascoltare cosa lo Spirito dice alla sua Chiesa. L’esperienza sinodale può infine essere lo strumento giusto per vivere in modo comunitario l’ascolto dello Spirito, imparando a riconoscere le forme del corpo ecclesiale che lo Spirito sta disegnando attraverso l’opera di seminagione di doni e carismi. Il cattolicesimo che sta nascendo nelle trame del tessuto sociale e culturale in piena trasformazione sarà frutto non soltanto del nostro impegno e delle nostre azioni, ma anche della nostra capacità di contemplazione, di riconoscimento e di comunione, chiamando a unità i tanti doni disseminati che altrimenti rischiano la dispersione.

Il Sinodo ci aiuta a riapprendere un compito fondamentale legato alla professione della fede: l’attitudine della veglia, della vigilanza (della sentinella), che cura con attenzione che la logica evangelica non venga meno, che il primato della missione sia salvaguardato, che la passione verso l’uomo che Dio ci ha mostrato sin dalla creazione rimanga un ingrediente fondamentale della nostra esperienza di fede. Il Sinodo come esperienza di comunione per la missione è il dono che viene fatto dallo Spirito alla nostra Chiesa che si interroga sulla sua identità e sul suo futuro.

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