Della variante inglese abbiamo appreso che ha una maggiore trasmissibilità ed è forse associata anche ad una maggiore gravità della malattia Covid. Ma cosa sappiamo invece dei sintomi? A fare chiarezza sono gli scienziati dell’Office for National Statistics, che hanno redatto un documento che fornisce qualche dettaglio in più in merito ai sintomi avvertiti dalle persone infettate dalla variante inglese del nuovo coronavirus. È emerso che presentano una serie di sintomi diversi dalle altre varianti, ma non più gravi. L’analisi si basa sui rapporti dei pazienti risultati positivi tra il 15 novembre 2020 e il 16 gennaio 2021, che hanno compilato un questionario sui sintomi avvertiti prima dello screening.



Si è così scoperto che si avvertono i classici sintomi della malattia, come tosse, febbre, problemi respiratori, ma la perdita del gusto e dell’olfatto sono meno frequenti. Nello specifico, pare che il 35% delle persone infettate dalla variante inglese abbia come sintomo principale la tosse, il 22% gola secca e febbre, più del 30% lamenta stanchezza e circa il 25% dolori muscolari.



SINTOMI VARIANTE INGLESE COVID E RAPIDA DIFFUSIONE

Ma da questa analisi non emerge alcuna indicazione riguardante una eventuale maggiore gravità dei sintomi per le persone infettate con la variante inglese Covid. Più semplicemente presentano un profilo di sintomi differente. Peraltro, gli scienziati sospettano che il fatto che la tosse sia uno dei sintomi più frequenti della variante inglese possa contribuire alla sua rapida diffusione, visto che la tosse proietta in maniera più forte i droplets infetti. La variante inglese di Sars-CoV-2 è stata rivelata nel settembre 2020 in diverse aree dell’Inghilterra meridionale.



Dal suo sequenziamento sono emerse diverse mutazioni nel gene che codifica la proteina S. Gli scienziati hanno poi spiegato che un campione è considerato positivo per la variante inglese quando i geni N e ORF1ab sono identificati in maniera simultanea. Nel giro di poco tempo, comunque, la variante inglese del Covid si è diffusa rapidamente, grazie alla mutazione nella sequenza aminacidica (N501Y) che rafforza il suo legame col recettore ACE2.