Novità tra Hamas e Iran. Sembrerebbe una boutade da cicaleccio sotto l’ombrellone. Ed invece è vero: sembra che Sergei Shoigu, ex ministro della Difesa russo ed ex capo del Fsb, accusato di crimini contro l’umanità per gli attacchi indiscriminati sui civili in Ucraina, nella sua recente visita a Teheran abbia trasmesso un messaggio dello zar Putin all’ayatollah Ali Khamenei, per invitarlo a tenere i civili fuori dal mirino. Il tutto dimenticando la continua strage di popolazione inerme in Ucraina, voluta in ossequio alla strategia dell’“operazione speciale” russa, che fin dall’inizio ha sempre inteso seminare il terrore per spingere il nemico alla resa. E sublimando perfino i crimini di guerra russi, compreso il rapimento e la deportazione in territorio russo di migliaia di bambini ucraini, allo scopo di “rieducarli”. Shoigu, e Putin, non conoscono verguenza, termine spagnolo che indica bene un misto di vergogna, imbarazzo, peccato, disonore, e pensano che le parole, e le menzogne, se ripetute a raffica possano trasformare la realtà percepita.



Nel frattempo, proprio la Russia ha iniziato a dotare l’Iran di nuove armi (come informavamo l’altro giorno): sistemi avanzati di guerra elettronica, compresi quelli che possono invalidare i sistemi militari a una distanza di migliaia di chilometri, trasportati in ponte aereo dai giganteschi Ilyushin, insieme a munizioni e Iskander, i missili balistici già testati in Ucraina. Una realpolitik russa che ricorda da vicino le politiche manichee della guerra fredda, una distribuzione di influenze convenienti, al di là di religioni e leadership (sempre la Russia non risparmiò in passato feroci guerre contro popolazioni islamiche), supportate da capacità militari, ciò che portò a lunghi anni di un mondo diviso in blocchi, con solo la pallida intromissione dei “Paesi non allineati”. Oggi quei non allineati si sono convertiti e riposizionati, e il terzo, grande incomodo è rappresentato da un’altra superpotenza, la Cina, che sta espandendo la propria influenza soprattutto in America Latina e in Africa, per ora stando a guardare gli accadimenti mediorientali.



Ma l’appello russo al contenimento dei “danni collaterali” stride anche con le vicende legate ad Hamas, movimento filosciita che controlla Gaza, legato all’Iran e a Mosca, responsabile del massacro (soprattutto di civili) del 7 ottobre. L’altro giorno, il gruppo terrorista, a una settimana di distanza dall’assassinio di Ismail Haniyeh, ha nominato il nuovo capo del suo ufficio politico. Si tratta di Yahya Sinwar (un cognome assurdo, che tra spagnolo e inglese starebbe per “senza guerra”), già tra i fondatori di Hamas e fino ad oggi capo del movimento a Gaza, considerato la mente dietro l’attacco di ottobre che ha dato il via alla guerra in Medio oriente, e ricercato numero uno da Israele.



Sinwar è un “bel” personaggio, classe ’62, nato a Khan Yunis, non proprio un paradiso, sprofondato in fondo alla Striscia. Il terrorista (detto il macellaio di Khan Yunis) è stato per più di vent’anni nelle carceri israeliane (sulla sua testa pendevano diversi ergastoli per l’omicidio di tre soldati dell’IDF e di una dozzina di palestinesi sospettati di collaborare con lo Stato ebraico), ma fu rilasciato nel 2011, nello scambio assolutamente sperequato tra oltre un migliaio di detenuti palestinesi e un unico soldato di Israele rapito, Gilad Shalit. Dopo aver scalato le gerarchie sanguinose di Hamas, sembra sia da mesi infrattato in uno dei tunnel che ancora resistono nella Striscia.

Cosa potrà cambiare con Sinwar? Molto probabilmente niente, anzi: il nuovo leader è considerato un irriducibile, e con lui i timidi tentativi di conciliazione che erano stati faticosamente portati avanti da Egitto e Qatar sembrano destinati a spegnersi sul nascere. Uno psicopatico, un sanguinario, un fanatico anti-israeliano, l’architetto del massacro del 7 ottobre: Sinwar forse è tutto questo, e anche di più, è sostanzialmente un uomo capace di tutto, che non vede più alcun ostacolo (compresi gli altri capi più moderati di Hamas, eliminati dagli attacchi di Tel Aviv) al suo disegno di martirio e distruzione.

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