La guerra a Gaza non sembra dare alcun segnale di attenuazione e mentre si discute attorno alla tregua umanitaria per garantire la vaccinazione contro la polio ai civili palestinesi, sembra che Yahya Sinwar (recentemente diventato il numero uno di Hamas) abbia già perfettamente chiaro il piano che seguirà da qui ai prossimi giorni, se non settimane o mesi: questa è la tesi che Marco Mancini – noto ex 007 italiano – ha espresso in una lunga riflessione pubblicata sulle pagine del quotidiano L’Unità che parte dalle numerosi voci di corridoio che giungono alle sue orecchie.



In quel di Gaza – spiega l’ex 007 – “Sinwar (..) è come sempre pronto a tutto” perché ormai sa perfettamente (dopo aver visto cadere uno dopo l’altro tutti i vertici del movimento palestinese) “che i margini per non finire martire si fanno ristrettissimi” e nutre sempre di più la chiara intenzione di portare con sé “tutti gli ostaggi e quanti nemici oserebbero affacciarsi nei sui pressi“. Il come è piuttosto semplice, perché secondo fonti vicinissime al numero uno di Hamas, sia lui che i primi due figli “[indossano] un giubbotto esplosivo ad alto potenziale” e – non a caso – ha deciso di barricarsi assieme a “tutti i circa cinquanta-cinquantacinque ostaggi sopravvissuti”.



Sul come Sinwar e la guerra a Gaza sono giunti a questo drammatico punto – che si fa sempre più certezza – Mancini ha le idee perfettamente chiare e cita nella sua lunga riflessione “il furore” nutrito da Yahya dopo che è stato ridicolizzato “descrivendolo come travestito da donna“; ma anche “l’euforia” nata attorno alla sempre più ferma ed ampia “ribellione di buona parte degli israeliani al loro premier” acuita dal ritrovamento – ovviamente non casuale, ma secondo l’ex 007 dovuto alla necessità di “mandare un messaggio” – dei “sei ostaggi assassinati“.



Marco Mancini: “C’è solo un modo per evitare il peggio a Gaza, trattare direttamente con Sinwar senza interlocutori”

Una morte che si poteva evitare se si fossero rispettati gli accordi presi da Sinwar, dagli USA e da Tel Aviv “a luglio” quando fu negoziata la liberazione di “una dozzina di unità delle forze speciali americane” catturate da Hamas in cambio di alcuni “reclusi palestinesi (..) con la garanzia americana che le truppe israeliane sarebbero uscire dai territori palestinesi (..) e l’impegno formale ad evitare qualsiasi futuro attacco”.

Gli USA – ragiona ancora Mancini – erano riusciti addirittura a convincere “l’esercito [israeliano] e i servizi segreti”, mentre ad opporsi altri non fu che “Bibi Netanyahu” che da lì a poco attaccò “Tehran e Beirut con due omicidi mirati dei numeri due di Hamas e di Hezbollah”; mentre dopo il fallimento sono riusciti solamente ad incassare il timido successo di “una tregua umanitaria” unendovi anche la liberazione del corridoio di Philadelphia che – come ci insegna la cronaca – non è mai avvenuta, ancora una volta per volere di Netanyahu.

Torniamo così nel presente, con i sei ostaggi giustiziati che erano un modo di Sinwar per “offrire implicitamente una possibilità di ripresa della trattativa agli americani” e che riportano immediatamente la palla in mano “a Biden [che] sa di dover costringere Netanyahu ad aprire all’unica chance per evitare il peggio non solo a Gaza ma in uno scenario più vasto”; il tutto con l’unica “strada [percorribile] di una trattativa, tralasciando interlocutori che promettono e non contano e arrivando direttamente” al numero uno di Hamas.