Anche Yahya Sinwar, capo di Hamas, molto probabilmente è stato ucciso. Israele definisce alta la probabilità che sia così e non ci sono elementi, né smentite di Hamas, per credere il contrario. Un episodio importante nella guerra di Gaza che non ferma però i programmi di Netanyahu. Non per niente, spiega Filippo Landi, già corrispondente della Rai da Gerusalemme e poi inviato del Tg1 Esteri, le forze armate israeliane continuano a bombardare Gaza, ma anche la Cisgiordania e il Libano. L’obiettivo sono i campi profughi palestinesi, per colpire ogni possibile centro di aggregazione dei palestinesi e convincerli che non hanno futuro, se non quello disegnato da Israele stesso. Ma si punta anche ad annettere il nord della Striscia.



Anche Sinwar dovrebbe essere stato vittima della vendetta di Israele. Tel Aviv potrebbe accontentarsi di questo risultato per fermare la guerra o per ridurre le operazioni militari?

Dalle modalità dell’uccisione di Sinwar si evince che Israele non si accontenterà della sua morte. Contestualmente all’attacco contro di lui a Rafah, infatti, per l’ennesima volta gli aerei colpivano in modo devastante le scuole del nord della Striscia, sostenendo che lì si nascondevano miliziani di Hamas, ma provocando una strage di donne e bambini. Le immagini che si vedono sui circuiti internazionali sono eloquenti: vicino all’ex scuola dell’UNRWA mostrano bambini bruciati. L’uccisione di Sinwar non è comunque in cima alla lista degli obiettivi di Israele: oggi la priorità è l’annessione di fatto del nord della Striscia, con l’allontanamento di almeno 300mila palestinesi che in questa zona erano rimasti. Lo prevede un piano che ormai in Israele è di pubblico dominio. La morte di Sinwar, insomma, non basta certo a fermare Israele.



Per Hamas, invece, l’ennesima uccisione del suo capo, dopo quella di Ismail Haniyeh, cosa significa?

La nomina di Sinwar a leader di Hamas cambiava una regola seguita negli ultimi decenni: il leader del movimento doveva vivere all’estero per avere la possibilità di muoversi e agire anche a livello internazionale. Così è stato per Haniyeh, dopo il quale la scelta è caduta su una persona che per il movimento rappresentava molto, anche se veniva considerato a rischio di uccisione. Per questo penso che il prossimo leader sarà qualcuno che si trova già all’estero. Hamas è indebolito militarmente, ma dal punto di vista della presa sull’opinione pubblica palestinese e araba è tutt’altro che sconfitto. Se può spendere molto sul piano politico, lo potrà fare con i leader che sono all’estero, in Turchia, in Libano o forse ancora in Qatar.



Dunque a Netanyahu e al suo governo non basterà neutralizzare militarmente Hamas?

Per comprendere il quadro della situazione basta guardare agli obiettivi che il governo Netanyahu e i suoi sostenitori politici si sono dati a Gaza e nella Cisgiordania, ricordando anche i bombardamenti nei campi profughi palestinesi in Libano: è stata colpita anche Tiro, prima importante città libanese sulla costa venendo da sud. Queste sono le modalità che il governo ha scelto per “risolvere il problema palestinese”, che hanno portato alla definizione dell’UNRWA come agenzia terroristica, confiscando il terreno della sua sede di Gerusalemme per costruire 1400 abitazioni. Un’iniziativa che manifesta l’intenzione di eliminare l’agenzia che ha tenuta aperta la memoria storica della Nakba.

L’obiettivo più che l’annientamento di Hamas è l’allontanamento dei palestinesi?

Il piano per Gaza che i giornalisti israeliani hanno scoperto e fatto conoscere prevede l’annessione del nord, mentre per la Cisgiordania quello che si sta attuando è il progressivo tentativo di allontanare i palestinesi dai campi profughi di Nablus, Tulkarem, Jenin, Ramallah e anche di Betlemme. La chiusura dei campi profughi rappresenta un importante elemento politico e demografico, per il governo Netanyahu. L’attacco ai campi profughi in Libano, invece, dimostra l’intenzione non tanto di cacciare i palestinesi, ma di chiudere i loro luoghi storici di aggregazione. Ecco perché vengono colpiti i campi anche del nord e non solo del sud del Libano, luoghi dove, tra l’altro, Hamas è assente, ma è presente Fatah.

Si vuole togliere ogni speranza ai palestinesi?

Si vuole costringere i palestinesi a prendere atto che non hanno nessuna prospettiva politica, che non c’è nessuna possibilità di rientro dei profughi nella vecchia Palestina, né di trattare a un tavolo politico, se non alle condizioni israeliane. Per una parte dei sostenitori di Netanyahu, d’altra parte, Israele va dal fiume Giordano al Mediterraneo.

Israele, insomma, va avanti per la sua strada. Neanche gli USA provano a fermarlo?

L’atteggiamento americano è definito benissimo da quello che ha dichiarato nelle ultime ore un consigliere di Biden incontrando i rappresentanti delle organizzazioni umanitarie USA, alle quali ha riferito che l’amministrazione americana non intende imporre un embargo di armi a causa della drastica diminuzione dell’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. Una presa di posizione che giunge a pochi giorni dalla lettera in cui Blinken e Austin avevano chiesto a Netanyahu di aumentare gli aiuti ai civili palestinesi, altrimenti avrebbero sospeso entro 30 giorni l’invio delle armi. C’è un tale contrasto tra le dichiarazioni che bisogna prendere per buona l’ultima.

(Paolo Rossetti)

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