“You’re fired”. Se al posto di Giuseppe Conte ci fosse Donald Trump, sarebbe stata questa la frase diretta ad Armando Siri. Licenziato. Conte ha usato una perifrasi con varie precisazioni. Ma la sostanza è la stessa. Il presidente del Consiglio si è un tantino arrabbiato sentendo che Siri era “pronto a dimettersi entro 15 giorni”. Pronto fra 15 giorni? Le dimissioni non si promettono e si annunciano soltanto dopo averle date. E così ci ha pensato lui a tagliare corto: la questione sarà posta all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri. Non ci sarà un’altra convocazione “varie ed eventuali”.



Siri aveva tentato un’ultima contromossa. Conte aveva annunciato una conferenza stampa nel pomeriggio. Il sottosegretario ha anticipato l’incontro cercando di prendere in contropiede Conte con la promessa, messa per iscritto, delle dimissioni postdatate. Il risultato è stato opposto all’esito cercato. Invece che un colpo di freno, ne è uscito uno di acceleratore.



Hanno dunque vinto i 5 Stelle e la loro linea giustizialista. Salvini è in difficoltà ma deve digerire il rospo con il sorriso. Le sue dichiarazioni di ieri non sono incendiarie. “Lascio a Conte e a Siri le loro scelte, a me va bene qualsiasi cosa se me la spiegano”, ha detto. È un modo per prendere le distanze. Fino all’altro giorno, Siri diceva che il suo destino era nelle mani di Salvini. Ora Salvini dice che la faccenda riguarda Siri e Conte, non lui che si limita a chiedere una spiegazione e a prenderne atto. Luigi Di Maio, portato a casa il risultato, non infierisce: “Non esulto e non credo sia una vittoria. Detto questo sono contento che il governo ora possa andare avanti perché il caso Siri si chiude”.



Insomma, l’operazione è quella di chiudere il caso senza ulteriore spargimento di sangue. Una crisi ora è impossibile e i due vicepremier non esasperano le divisioni che l’indagine su Siri ha reso più profonde. Anche Conte mette la divisa da pompiere: “Invito la Lega a non lasciarsi guidare da reazione corporative e “il M5s a non approfittare di questa soluzione per cantare una vittoria politica”. Salomoniche bacchettate da una parte e dall’altra. E Salvini ha subito provato ad aprire un nuovo fronte di tensione con i grillini, facendo balenare la possibilità di un accordo con il Ppe nel nuovo Europarlamento. Invece che di giustizia, si parla di politica. La campagna elettorale è ancora lunga e il 26 maggio piuttosto lontano.