Hayat Tahrir al Sham, che ha preso il potere dopo la caduta di Assad, continua a rassicurare i cristiani: sarà una Siria di tutti. Ahmed al Sharaa, il loro capo, che aveva scelto come nome di battaglia Al Jawlani, lo ha detto anche nell’ultima riunione con i vescovi cristiani di Damasco. La gente comune, però, continua ad avere un’altra percezione, un timore nei loro confronti figlio di una paura comprensibile, ancora palpabile. Il Paese, d’altra parte, spiega Mario Zenari, cardinale, nunzio apostolico a Damasco, ha bisogno di tutto: le rassicurazioni di HTS rasserenano il clima, ma poi la gente è affamata, non ha medicine e deve fare a meno, molto spesso, anche dell’energia elettrica. Per questo la comunità internazionale dovrebbe intervenire subito: la situazione è troppo grave per aspettare.
Cardinal Zenari, Ahmed Al Sharaa, altrimenti conosciuto come Al Jawlani, ha incontrato l’ultimo giorno dell’anno i vescovi cristiani di Damasco. Che rapporti si stanno sviluppando con il governo che ha deposto Assad?
Non ero presente all’incontro, ma ho parlato con chi ha partecipato. Tra di loro c’era il vescovo cattolico francescano Hanna Jallouf, che fino a un anno e qualche mese fa era a Idlib come parroco, proprio nella zona controllata da HTS prima della caduta di Assad. È rimasto 20 anni in quest’area e ha conosciuto molto bene queste persone. All’inizio gli hanno dato filo da torcere, poi, però, lo hanno apprezzato: quando è stato nominato dal Papa vescovo dei Latini di Aleppo, gli hanno organizzato una grande cerimonia di saluto. Hanna Jallouf è molto conosciuto da loro e credo possa dare qualche buon consiglio su come rapportarsi.
Ma l’incontro in sé come è andato?
Sono state invitate tutte le chiese: ortodossi, cattolici, protestanti, armeni. Erano presenti circa 50 tra vescovi e preti, che sono stati ricevuti al palazzo presidenziale. Si è trattato di un incontro molto cordiale, durato circa due ore, durante il quale tutti hanno avuto modo di esprimersi e di presentare le loro preoccupazioni, i loro desideri. Al Sharaa ha ascoltato tutti, dicendo che la nuova Siria sarà dei siriani e non di un solo gruppo. Ha rassicurato i presenti e ha augurato un anno di pace.
Continuano, quindi, con il loro approccio soft?
Non è il primo incontro di questo genere che hanno organizzato. Da questo punto di vista si stanno dimostrando furbi e intelligenti. Appena arrivati ad Aleppo hanno subito convocato tutti i vescovi, che sono usciti dall’incontro con un cauto ottimismo. Lo stesso è successo a Homs, a Damasco e in altre occasioni. Io stesso, che sono da 16 anni nunzio apostolico, ambasciatore della Santa Sede e decano del corpo diplomatico, ho avuto modo di incontrare il ministro degli Esteri: devo dire che con questa gente si può parlare, si può dialogare.
Rimane, tuttavia, qualche dubbio?
Se i vescovi, in seguito a questi incontri, hanno espresso un cauto ottimismo, i cristiani, tuttavia, soprattutto all’inizio, erano molto, molto paurosi; tanti pensavano di scappare, di lasciare la Siria. Insomma, una cosa è dialogare con questa gente e una cosa è vedere giovani soldati mentre si passa sulla strada. Mi hanno raccontato di qualche giovane cristiana che prendeva un caffè al bar, alla quale questi militari hanno chiesto, appunto, se era cristiana. I nostri fedeli, che vivono con queste persone e vedono i ribelli per strada armati, hanno un’altra percezione, un po’ diversa da quella dei vescovi che incontrano i leader. In loro rimane qualche timore.
Ma in questi incontri con HTS di che cosa si parla di solito? Si fanno discorsi generali o si va anche sul concreto, sulla questione della libertà di culto, del rispetto delle confessioni religiose?
Vengono avanzate le richieste della comunità cristiana sulla libertà di culto, ma si chiedono anche rassicurazioni sulle nostre scuole, sugli ospedali, sui servizi di carità. In genere si parla di questo, ma anche di una Costituzione che rispetti tutti.
Anche sulla nuova Costituzione HTS fornisce delle rassicurazioni?
Fanno promesse che sono da sottoscrivere subito: dicono che la Siria sarà di tutti i siriani, un Paese inclusivo, non di un gruppo. Naturalmente queste sono le promesse, poi si vedrà.
Ma in questo momento HTS dà l’impressione di avere in mano la situazione, o almeno di tentar di prendere le redini del nuovo Paese?
Siamo concreti. In genere questi ministri, anche quello che ho incontrato io, hanno alle spalle l’esperienza amministrativa di una piccola provincia come Idlib. Ora si trovano a governare una Siria con villaggi distrutti, gente affamata, che non ha ospedali, che non ha medicine, un Paese con un tessuto sociale rovinato, in cui c’è corruzione, sbandamento. Cosa possono fare se non promettere? Ma poi è molto difficile mettere mano alla realtà. Per fare un esempio, io vivevo in un quartiere fortunato perché ero vicino agli uffici del Presidente. Avevamo l’energia elettrica tre ore sì e tre ore no, ma eravamo benedetti. Adesso alla Nunziatura abbiamo quattro ore di energia su 24: tre quarti d’ora adesso e altri tre quarti d’ora tra un po’.
Insomma, la Siria ha bisogno di aiuti massicci.
La comunità internazionale dice “wait and see”, aspettiamo come si mette e vediamo, ma io non accetto questa impostazione. Preferisco “work and see”: bisogna lavorare, impegnarsi, c’è bisogno di aiutarla subito, questa Siria. Per questo il mio messaggio ai cristiani, ai carissimi cristiani, è di non scappare. A loro dico: “Siete liberi, ma se potete rimanete”. E invito a tornare coloro che vivono fuori dal Paese e che hanno capacità imprenditoriali: bisogna rimboccarsi le maniche e poi si vedrà.
Qual è la sua previsione?
È un momento molto delicato; se questo esperimento fallisce, non so quale potrà essere l’alternativa. La comunità internazionale deve capire che certi aiuti sono indispensabili subito, nel settore sanitario, in quello dell’energia elettrica e in altro ancora.
(Paolo Rossetti)
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