Controllare le milizie jihadiste e riconoscere il ruolo delle donne. Sono i due elementi fondamentali sui quali si giocherà la credibilità del nuovo governo siriano. Se Al Jawlani, il leader di Hayat Tahrir al Sham, dimostrerà di non cedere su questi punti, osserva Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri in congedo, con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, l’Occidente potrebbe venirgli incontro, togliere le sanzioni e aiutarlo nella ricostruzione. In questo senso sta cercando di operare l’Italia, i cui diplomatici hanno incontrato i vertici di Damasco. Roma vuole un ruolo nella ricostruzione e chiede rispetto per i cristiani siriani in cambio dell’annullamento delle sanzioni che pendono sul Paese e che hanno contribuito ad affossare Assad, oltre ad aver peggiorato notevolmente le condizioni di vita della gente.
Generale, come si sta muovendo Al Jawlani?
Cerca di accreditarsi come moderato. Ha nominato una donna per gli Affari femminili, ma dobbiamo essere realisti: non sappiamo che potere avrà. Si sta muovendo bene, ma non abbiamo ancora la prova provata che abbia cambiato veramente modo di fare.
Una delegazione diplomatica italiana ha incontrato il leader attuale del Paese. Secondo quanto riferito dal ministro degli Esteri Antonio Tajani, abbiamo chiesto il rispetto delle minoranze, soprattutto quelle cristiane, offrendo in cambio la possibilità di togliere le sanzioni contro la Siria. Una contropartita allettante per Damasco?
Se non ci fossero state le sanzioni, Assad non sarebbe uscito sconfitto. Sul togliere le sanzioni sono d’accordissimo. Giusto anche chiedere il rispetto delle minoranze, in particolare quella cristiana, perché lì c’è l’islam. Una richiesta del genere è necessario farla: nonostante le prime decisioni vadano nel senso del rispetto di tutti, devono avere delle conferme. E su questo, per il momento, non bisogna abbassare la guardia.
Ci sono segnali che rendono concreto questo pericolo?
Sappiamo bene che all’interno della Siria ci sono ancora delle grosse sacche di Stato islamico. Tajani ha voluto dire ad Al Jawlani che deve controllare le milizie islamiche integraliste: deve prendersi un impegno serio e forte.
Tajani parla delle sanzioni perché sa che, se rimangono, la Siria non può essere rilanciata?
Sì, perché per quanto voglia e possa aiutare la Siria, nemmeno la Turchia, da sola, può farcela, se perdurano le sanzioni.
Molti analisti ritengono che la mossa italiana di riaprire le relazioni diplomatiche in estate, quando Assad era ancora al potere, non abbia giovato al nostro Paese. Ci ha penalizzato?
Penso di no: è giusto muoversi con i governanti del momento. Gli attuali vertici politici sanno benissimo che non eravamo con Assad. Al Jawlani non avrebbe detto che vuole un partenariato con l’Italia molto forte. Sarebbe contraddittorio, da una parte, darci addosso e poi dire di cercare con l’Italia un legame stretto.
Cioè Hayat Tahrir al Sham sa che la Siria è troppo allo stremo per poter rifiutare l’aiuto di chiunque, tanto meno dell’Italia?
È così, Al Jawlani è arrivato al potere, ma adesso deve stabilizzarlo, e questa è la fase più difficile. Arrivarci, in un certo senso, può anche essere relativamente facile; mantenere la posizione è molto, molto meno facile. Non so quali siano i suoi piani, però si sta muovendo bene e ha ottenuto un assegno in bianco dagli americani e l’appoggio turco. Ora cerca di ottenere l’appoggio della popolazione, che crede in quello che lui sta promettendo, cioè diritti per tutti e rispetto per tutte le religioni. Vedremo.
Ma l’Italia che ruolo può avere nella Siria del futuro?
Puntiamo ad avere un ruolo importante nella ricostruzione. Non ci saremmo precipitati in Siria immediatamente per accreditarci; l’abbiamo fatto per quello. Adesso c’è da ricostruire, da essere presenti: perché non sgomitare per essere tra i primi? È giusto che ci siamo mossi come Italia; con un’Europa in ritardo su tutto, credo sia ormai necessario darsi da fare come singoli Stati. È triste dirlo, io sono sempre stato un europeista convinto, ma con un’Europa seria, quella che non si è mai voluta costruire. Quindi ben venga un’Italia che sia propositiva, che sgomiti, come hanno fatto in passato Francia, Gran Bretagna e Germania, che ha sempre cercato di mettere la testa avanti.
A questo punto togliere le sanzioni occidentali alla Siria conviene anche a noi?
Assolutamente sì, dobbiamo auspicare che vengano tolte; sarebbe anche il segnale che Al Jawlani si sta comportando come si deve. L’Italia fa bene a cercare un cambio di passo con Libano, Tunisia, Libia, Marocco e, adesso, con la Siria. In passato avevamo lasciato l’iniziativa ad altri Paesi.
L’Italia starebbe tenendo stretti contatti con i turchi, che hanno invitato Roma a mantenere la sede diplomatica in Siria. Ankara contribuirà a darci un ruolo?
Il vero partenariato sarà fra la Turchia e la Siria. Per questo ritengo che si debba passare attraverso i turchi. Se i rapporti fra Ankara e Roma saranno buoni, di conseguenza saranno buoni anche quelli tra la Siria e noi. Dobbiamo passare in parte attraverso la Turchia; sappiamo che sostanzialmente lì comanderanno loro.
Per avere l’appoggio dell’Italia e di altri Paesi simili cosa deve dimostrare Al Jawlani?
Dovrà dimostrare che è in grado di controllare le milizie islamiste e integraliste, quindi dovrà cercare di evitare invasioni di chiese, ferimenti di cristiani, tutti quegli atti, anche piccoli, che potrebbero metterlo in cattiva luce. Ma non basta, dovrà dimostrare anche che all’interno dell’islam ci sarà una maggiore disponibilità per la democrazia e il riconoscimento del ruolo della donna. Questi sono due passaggi fondamentali.
(Paolo Rossetti)
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