Manca l’elettricità, le infrastrutture, ma per migliorare la situazione occorre togliere le sanzioni, cosa che la UE sta cominciando a fare. Per il resto, in Siria tornano a circolare le merci e si attende la costruzione di uno Stato unitario. Al Jawlani e HTS, spiega Nabil Al Lao, siriano che vive in Italia, esperto di geopolitica e docente di lingua e traduzione francese e araba, negoziano con i curdi per farli entrare nell’esercito unitario e pensano a una Costituzione, che non potrà essere quella di uno Stato laico, ma, pur sapendo che la stragrande maggioranza della popolazione è musulmana sunnita, dovrà tener conto dell’apporto di tutti, attingendo anche alle Costituzioni occidentali ma prendendo come base quella del 1950, quando la Siria uscì dal mandato francese.
L’Europa allenta la pressione delle sanzioni sulla Siria. Quanto è importante per rilanciare il Paese?
È importantissimo. Le sanzioni erano contro Assad, ma adesso Assad non c’è più. In vista della ricostruzione vedo la buona volontà di tanti Paesi arabi, soprattutto da parte dell’Arabia Saudita, dopo 14 anni di rottura diplomatica completa. Però bisogna andare oltre le sanzioni, altrimenti anche questi Paesi rischierebbero ripercussioni.
Le sanzioni sono state pensate per colpire Assad, ma alla fine hanno danneggiato la gente. Continuano a farlo?
Quello di Assad era un sistema mafioso: sfruttava la situazione in Libano per fare arrivare tutto quello che serviva a lui, senza pensare ai bisogni alimentari o alle medicine che occorrevano ai siriani.
La UE vuole togliere le sanzioni gradualmente perché non si fida di HTS. È la mossa giusta?
Ci sarà un primo pacchetto di provvedimenti, ai quali ne seguiranno altri: è la politica della carota e del bastone. Ma contro chi? La fiducia a HTS è stata data dal popolo sul territorio, lo stesso popolo che la comunità internazionale ha lasciato massacrare. C’è una responsabilità morale e politica anche da parte dell’Europa. Io sono laico e lo sono sempre stato: al potere ci sono siriani che sono stati massacrati dal regime, in un Paese in cui l’84,6% della popolazione è musulmana sunnita.
Intende dire che la Siria è un Paese musulmano e non ci si può sorprendere se il suo ordinamento rispecchierà questa fede?
La maggior parte delle persone sono musulmane praticanti: per 14 anni si sono affidate a Dio, a una motivazione religiosa, per superare le difficoltà. In questo hanno trovato rifugio per sopportare il massacro fisico, sociale, economico e finanziario cui sono stati sottoposte. Quando gli europei si occupano di Siria chiedono il rispetto delle minoranze, ma il Medio Oriente da 50 anni è massacrato dalle minoranze, come era quella degli alawiti in Siria o degli Hezbollah in Libano, o come ha fatto lo stesso Saddam Hussein in Iraq con gli sciiti. I rappresentanti della laicissima Francia appena arrivano in Siria chiedono dei cristiani e vanno a parlare con i sacerdoti. Penso che il primo compito sarebbe parlare con i padroni di casa.
Ma intanto la vita della gente sta cominciando a cambiare in meglio?
Dal punto di vista dei servizi, come l’erogazione della corrente elettrica, non è cambiato granché. Le infrastrutture sono distrutte e non possono essere sistemate in due giorni. La Turchia ha inviato due navi con enormi generatori, ma non c’è una rete a cui collegarli o almeno è molto danneggiata. Il Qatar ha promesso altri generatori, ma non può agire fino a che ci sono le sanzioni. Per il Kuwait e l’Arabia Saudita vale lo stesso. La situazione non è migliorata, se non peggiorata: ci sono ancora forze pro-Assad che cercano di danneggiare l’unità del Paese e rendere più difficile la vita a tutti.
Dal punto di vista commerciale si muove qualcosa?
Ci sono molti prodotti in più disponibili, dalle macchine fino ai prodotti alimentari. Merce che prima si vedeva nei film, prevalentemente di provenienza turca. Il problema è comprare. La gente non ha soldi. Mi raccontano che i prodotti che si trovano per strada vengono messi in vendita lì.
Invece, dal punto di vista delle istituzioni, quindi della costruzione di uno Stato siriano unitario, ci sono passi avanti?
La volontà generale è di costruire uno Stato unico. Sul territorio non è ancora così: la nuova amministrazione ha un problema abbastanza grave con i curdi, che hanno un esercito loro. Parlo di formazioni come SDF, appoggiate dagli americani e nemiche della Turchia. Ci sono negoziati per lasciare le armi ai curdi facendoli entrare nel nuovo esercito siriano. Non sono conclusi perché la nuova amministrazione americana non ha ancora deciso se appoggiare ancora i curdi oppure no. Sui media, però, gli USA hanno detto che non vogliono più di un esercito sul territorio siriano.
C’è la possibilità di accordarsi con i curdi?
Credo che alla fine potranno confluire nell’esercito. La loro causa è parzialmente giusta. Parlano una lingua che non è del territorio e sono un’etnia indoeuropea. Certo, questo non vuol dire che non debbano essere considerati nella nuova Siria: sono siriani curdi.
Non ci sono problemi simili anche con altre milizie? Sono tutte d’accordo nello sciogliersi nell’esercito siriano?
Sì. Quelli rimasti tra gli alawiti sono miliziani a pagamento, mercenari, e non hanno nessun diritto a portare armi. Il diritto di detenerle fa capo allo Stato, all’esercito, senza esibirle a ogni angolo di strada come faceva Assad, per il quale i soldati erano una sorta di arredo urbano da mettere dappertutto.
Che scenario ha davanti ora la Siria? Cosa devono fare principalmente Al Jawlani e HTS?
Sono fiducioso. La gente non vuole più tornare a una dinastia che ha rubato e distrutto tutto, non accetterà mai il ritorno dell’uomo forte. Per questo HTS è stato accolto in modo incredibilmente favorevole. Sono laico, pro-europeo, francofono, ma queste persone hanno avuto l’onore e il merito di liberare il popolo dal regime, dagli iraniani, dai miliziani criminali, dai russi. Hanno chiesto alla Russia di lasciare il porto sul Mediterraneo; ci vuole coraggio per una comunità nata l’altro giorno. Chi ottiene più voti dopo le elezioni va al potere. E lo stesso vale per chi vince in guerra. Sono d’accordo che governino anche se hanno una visione diversa dalla mia. Se mi chiederanno di collaborare, lo farò, anche se alla mia maniera.
Quale deve essere ora la priorità?
Formato il governo di salvataggio, dovranno gestire una fase di transizione per preparare le prime elezioni presidenziali, sotto il controllo dell’ONU e della comunità internazionale come osservatori. Dovranno essere aperti al contributo di tutti coloro che hanno delle competenze, senza guardare all’appartenenza a una comunità religiosa.
Il tema vero oggi è quello della Costituzione?
Ci vuole una Costituzione. Si sta preparando una conferenza nazionale con la partecipazione della comunità internazionale. Non dobbiamo inventare la ruota o l’alfabeto: possiamo confrontarci con altre Costituzioni, come quella italiana, francese, tedesca oppure quelle di Giordania, Egitto e Turchia, Paesi con un ambiente e una cultura più simili a quella siriana.
Ma per arrivare a che tipo di Costituzione?
Credo che come base si possa prendere quella del 1950, stilata dopo che la Siria è stata liberata dal mandato francese. Dovrà essere ammodernata dai giuristi per arrivare a una stesura che possa essere sottoposta a referendum.
Quella inquadrata dalla Costituzione del 1950 che realtà era, quella di un Paese laico?
Non c’è nessun Paese arabo laico. Quella del 1950 era la Repubblica Araba Siriana. Secondo me non c’è bisogno di chiamarla araba, per coinvolgere anche chi non lo è, ma non credo che l’ambiente attuale sia capace di farne a meno. La Costituzione sanciva la nascita di un parlamento, con la separazione dei poteri e un esercito nazionale autonomo. Ora va lasciato il tempo di agire, almeno inizialmente, a chi ha avuto il merito di liberare questo popolo. Non hanno liberato solo la Siria, ma anche il Libano. Appena è caduto il regime di Assad, Beirut è stata capace di nominare un bravo presidente della Repubblica e un bravissimo primo ministro.
(Paolo Rossetti)
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