La guerra in Siria la vogliono gli americani in funzione antirussa, e quello che sta succedendo nel teatro mediorientale non è altro che una sorta di riedizione della guerra fredda: i due contendenti sono USA e Russia, che però si combattono fuori dal giardino di casa, scegliendo, in questo caso, Aleppo e altre città siriane come teatro di scontro. Uno scenario, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, in cui si ripetono certi meccanismi collaudati dagli americani in altre occasioni, appoggiando gruppi terroristici con i quali si hanno interessi comuni contingenti. Una situazione voluta dall’amministrazione Biden, ma che potrebbe non dispiacere neanche a Trump, visto che favorirebbe Israele e metterebbe ulteriormente i bastoni fra le ruote all’Iran. Se anche i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) dovessero prendere il potere in Siria, il loro arrivo comunque non sarebbe certo un elemento stabilizzatore del Medio Oriente. Ma a Washington interessa soprattutto rovinare i piani a Mosca.
Chi vuole veramente questa nuova guerra in Siria?
È voluta dagli USA. È diventato molto evidente quando si sono mossi per bombardare le milizie sciite che si spostavano dall’Iraq per dare manforte al regime siriano. Un intervento diretto degli Stati Uniti per ostacolare chi vuole combattere i jihadisti la dice lunga sulla parte dalla quale vogliono stare: stanno dalla parte di chi dà fastidio a Mosca. Lo scopo finale è aprire un secondo fronte, dopo quello ucraino, che crei difficoltà alla Russia.
Possiamo ipotizzare che gli americani sostengano i ribelli islamisti sunniti? Del resto non sarebbe la prima volta che si comportano così.
Il lupo perde il pelo ma non il vizio: se agli USA conviene aiutare milizie jihadiste pur di raggiungere i loro scopi, lo fanno. Hanno inventato loro questo modus operandi in Afghanistan, aiutando inizialmente Al Qaeda. Tra l’altro il grosso delle milizie in questione sono proprio ex di Al Qaeda, che poi hanno preso altre denominazioni con il tempo.
Robert Ford, ex ambasciatore USA in Siria, dice che HTS non è più l’organizzazione intransigente che era una volta: ora, ad esempio, lascia costruire le chiese ai cristiani. Sono diventati “jihadisti buoni”?
È la solita miopia, non so se voluta o strumentale, con cui tentano di venderci queste realtà come combattenti per la libertà. Dicevano le stesse cose di Al Qaeda all’epoca della lotta contro l’URSS: così venivano presentati nei film di Rambo degli anni ’70. Poi abbiamo visto tutti, e non una volta sola, come va a finire. Basta ricordare l’11 settembre. L’ideologia sottostante è sempre quella, anche se poi ogni tanto questi gruppi cercano di ripulirsi momentaneamente l’immagine per raggiungere i loro obiettivi.
Va bene gli USA, ma i turchi che ruolo hanno? Le agenzie parlano di attacchi di jihadisti filoiraniani nei confronti di gruppi filoturchi nella zona di Aleppo. L’area di Idlib, dove agiva HTS, era a controllo turco. Possibile che siano estranei a quello che sta succedendo?
La coalizione che ha conquistato Aleppo e si è mossa verso Hama è un raggruppamento guidato dall’ex Fronte al-Nusra, ex affiliato di Al Qaeda in Siria, che ha come leader Mohamed al Jawlani, il quale ha riunito sotto di sé diversi gruppi riuscendo a governare Idlib. In questa galassia ci sono anche realtà sostenute dalla Turchia. Ankara ha sempre tenuto il controllo su questa area. Da anni cerca una normalizzazione del regime di Assad e quello che il presidente siriano ha sempre chiesto è il ritiro delle truppe turche dal nord della Siria e la fine della collaborazione con questi gruppi. Non lo ha mai ottenuto. La Turchia fa i suoi interessi e, in questo caso, coincidono con quelli degli USA.
Anche le milizie sciite irachene stanno chiedendo a Baghdad di inviare truppe in Siria. La guerra si può ampliare anche all’Iraq?
Siria e Iraq sono sempre stati legati a doppio filo dal 2003, dall’invasione in Iraq, ma ancora di più quando lo stato siriano era in difficoltà e l’Isis (che era guidato da iracheni) aveva preso il sopravvento. Si è creata una situazione per cui i sunniti di entrambi i Paesi sono contro gli sciiti di entrambi i Paesi, con la differenza che in Siria governa la minoranza sciita e l’opposizione è sunnita, mentre in Iraq è la maggioranza sciita egemone e la minoranza sunnita, che governava con Saddam Hussein, non conta più niente. L’Isis era il risultato di questo rovesciamento: tutti gli ufficiali di Saddam si sono fatti crescere la barba passando quasi per ripicca dall’ideologia baathista e nazionalista, panaraba, a una islamista.
Quindi la divisione tra sunniti e sciiti attraversa anche il conflitto in Siria?
Sì, e rischia di riaccendere anche la conflittualità in Iraq, che ha dovuto combattere per tanti anni contro l’Isis per riprendere il controllo del territorio.
Gli americani hanno dalla loro parte i curdi e alcune tribù arabe assoldate nella zona, un altro classico di situazioni come questa?
In un contesto del genere, tutti questi gruppuscoli vanno dove ci sono i finanziamenti e le armi, dove c’è la possibilità di ritagliarsi dei margini di manovra per controllare un pozzo di petrolio o di avere laboratori per la produzione di droga: la Siria era diventata una sorta di narco-stato.
Parliamo di americani, ma sono quelli di Biden o quelli di Trump?
Parliamo dell’amministrazione Biden, ma non è detto che quella di Trump non chiuda un occhio: questa situazione è molto ben vista da Israele perché crea problemi al regime di Damasco, che non ha mai accettato la normalizzazione con Tel Aviv ed è alleato di Hezbollah e dell’Iran. Insomma, distoglie le forze dei principali nemici di Israele: per questo potrebbe non dispiacere a Trump. Hezbollah, per il momento, dice che i suoi uomini non parteciperanno a questo conflitto, ma potrebbero esserci trascinati prima o poi.
In questo tutti contro tutti che scenario si sta delineando?
Assistiamo a una riedizione della guerra fredda, che USA e Russia stanno combattendo in altri teatri. Quando c’era l’URSS si combatteva in Vietnam o in Corea, adesso in Ucraina (anche se Trump sembra intenzionato a liquidare questo teatro) e in Medio Oriente.
La Siria è difficile da sistemare anche perché ci sono molti attori interessati. Come si può uscirne?
È la stessa situazione che si è creata in Libia e anche in Israele. Sono talmente tanti gli interessi dal punto di vista geopolitico che questi conflitti si incancreniscono.
Il piano di HTS sembra studiato nei minimi particolari.
Sicuramente qualcuno ha fornito loro armamenti e intelligence, ma di certo hanno sfruttato un vuoto di potere, lo stesso che si è verificato quando Assad si è trovato in difficoltà con le manifestazioni della primavera araba nel 2011. Ora si è creato perché gli alleati della Siria, Russia e Iran, sono in altre faccende affaccendati, con Ucraina e Israele. Se il vuoto viene colmato con i russi ed Hezbollah che riescono a liberare delle forze per il fronte siriano, non è detto che i ribelli non siano costretti alla ritirata. Se prenderanno il sopravvento le forze jihadiste potrebbero sorgere dei problemi anche per Israele.
Uno scenario afghano: jihadisti aiutati dagli USA che una volta al potere attaccano Israele?
Nell’ipotesi che prevalgano non è escluso che il nemico diventi Israele, anche se in questo fronte c’è una grande frammentazione: potrebbero anche cominciare a litigare tra loro per la gestione del potere.
(Paolo Rossetti)
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