In un momento in cui i conflitti, le divisioni e le guerre su piccola e larga scala sembrano dominare la scena, è facile perdere la speranza nella capacità che abbiamo come esseri umani di costruire insieme un contesto che favorisca la sicurezza reciproca. È quindi molto importante sapere che noi umani nasciamo biologicamente cablati per connetterci e per costruire sicurezza insieme.
Sentirci (sufficientemente) sicuri insieme agli altri è il primo bisogno che tutti noi abbiamo fin dalla nascita. E come potrebbe essere diversamente? La nostra venuta al mondo è segnata da una vulnerabilità totale che per molto tempo ci lascia in balia di altri, i quali, svolgendo al posto nostro funzioni vitali che non possiamo espletare (nutrirci, sorreggerci, lavarci, ripararci dal freddo, usare le parole…), hanno su di noi un potere di vita e di morte. E, soprattutto, possono consentirci di vivere l’esperienza del “sentirci sicuri insieme”, un’esperienza di accoglienza e di benvenuto che ci pone nella condizione migliore per imparare e per crescere.
In sintesi, l’esperienza di sicurezza reciproca ci fa sentire connessi e ci apre al mondo e agli altri. Accadrà anche in seguito, tutte le volte che nel corso della vita ci sentiremo reciprocamente sicuri. In quella condizione daremo sempre il meglio di noi perché ci verrà facile ascoltarci, affrontare situazioni nuove, scambiarci esperienze, valorizzare le differenze, e condividere risorse e competenze per generare benefici comuni, piccoli e grandi. In sintesi, quando siamo connessi diventiamo capaci di fare molto di più, meglio, e con minor fatica. Questo vale in famiglia, tra gli amici, a scuola, al lavoro e negli spazi piccoli e grandi della collettività.
Attenzione, però. Quando siamo connessi possiamo anche avere confronti duri, confliggere, portare avanti le nostre ragioni, esprimere i nostri interessi e la nostra visione, ma… senza mai distruggere i legami tra noi e senza ricorrere all’isolamento per proteggerci. Tutto questo accade naturalmente.
Che cosa ci consente di entrare in questo stato di “grazia”? Un imperativo biologico, appunto, il “principio di connessione” che governa la parte più evoluta del Sistema Nervoso Autonomo (SNA): quando questo imperativo si “accende” nel nostro corpo noi ci sentiamo appartenenti a qualcosa di più grande. L’interruttore è la condivisione di un’esperienza di sicurezza reciproca. È da qui che si crea lo spazio della connessione. E in questo spazio si dispiega la migliore espressione di tutti i “soggetti”, individuali e collettivi, che noi umani possiamo rappresentare nel mondo come singole persone, gruppi, collettività, associazioni, organizzazioni, istituzioni, Paesi, l’intera umanità.
Obiezione. Quello che oggi stiamo osservando su scala mondiale e locale ci mostra esattamente il contrario. Assistiamo infatti a una grande corsa per creare la nostra sicurezza difendendoci dall’altro, attraverso l’attacco, la fuga o l’isolamento. La vediamo tra gli Stati, i partiti, le diverse istituzioni, nella collettività, e anche nelle organizzazioni tra le diverse cordate e le funzioni aziendali… Com’è possibile, se nasciamo cablati per connetterci e abbiamo fame di connessione?
La risposta ci viene dagli studi di Stephen Porges, neuroscienziato americano autore della Teoria Polivagale, che qui applichiamo per la prima volta al contesto sociale. Porges descrive la struttura del Sistema Nervoso Autonomo (lo strumento che, tra le altre funzioni, percepisce i segnali di pericolo / sicurezza) come una gerarchia composta da tre livelli, prodotta dall’evoluzione in milioni di anni. Ogni livello ci porta a mettere in atto comportamenti che hanno l’obiettivo di farci sentire il più possibile sicuri. Come funziona questa gerarchia? Alla base c’è il sistema di difesa più antico, che ricerca la sicurezza isolandosi. Il secondo livello ricerca la sicurezza difendendosi dagli altri attraverso azioni di attacco e fuga. Entrambi questi livelli rispondono all’imperativo biologico di sopravvivenza: mors tua, vita mea. Il terzo livello, il più recente ed evoluto che ci caratterizza come “umani”, risponde invece all’imperativo biologico di connessione e dunque ci porta ad attuare comportamenti di collaborazione.
Questi tre livelli sono tutti presenti nella gerarchia del nostro Sistema Nervoso Autonomo, e vengono “accesi” o “spenti” in funzione di quanto ci sentiamo in pericolo o al sicuro momento per momento. Questa attività incessante avviene al di sotto della nostra consapevolezza.
Possiamo quindi dire che noi umani siamo biologicamente capaci di cercare la sicurezza sia proteggendoci dagli altri e contro gli altri (quando siamo guidati dal principio di sopravvivenza), sia costruendola insieme (quando diamo spazio all’imperativo biologico di connessione).
Bene. Allora possiamo porci una domanda: ma noi umani che cosa preferiamo? A dispetto di quello che sta accadendo nel mondo, la Teoria Polivagale basandosi su studi neuroscientifici ci fornisce la risposta: noi umani abbiamo fame di connessione. Anche perché la connessione è l’unica condizione psicofisica che, oltre a permetterci di tirar fuori il meglio da noi stessi, alimenta la lucidità, la salute e il nostro benessere. Quando siamo ostaggi del principio di sopravvivenza, invece, ci consumiamo.
È quindi molto importante favorire la nostra naturale capacità di collaborare, di rispettarci e di ricercare il bene comune, educandoci a coltivare la connessione.
Non è un’utopia. La capacità di connetterci ci appartiene, è già nostra.
Conoscere il funzionamento del nostro SNA, ci permette di riconoscere quando ci avviciniamo o ci allontaniamo dalla connessione, e di comprendere che cosa ci aiuta ad alimentare questo stato che garantisce ingaggio sociale e salute.
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