Correva l’anno 1946. A Parigi, il 4 novembre, si concretizzava la piattaforma costitutiva elaborata un anno prima a Londra: nasceva l’Unesco, United nations educational, scientific and cultural organization, al motto di “costruire la pace nelle menti degli uomini e delle donne”, una finalità più che giustificata nel tentativo di sublimare le tragedie della guerra appena finita con un nuovo rispetto delle culture e delle identità degli altri.
Sempre a Parigi, ventisei anni dopo, il 16 novembre, venne firmata la convenzione sulla tutela del patrimonio culturale e materiale mondiale con la quale si richiedeva “la cooperazione internazionale per la conservazione e la protezione dei beni più importanti per la storia, l’arte, le scienze e le bellezze naturali di ciascuno Stato”. Fu in quell’occasione che di fatto nacque quella che oggi comunemente va sotto il nome Unesco, che oggi conta poco meno di duecento Paesi aderenti, con 1154 siti inclusi quali patrimonio dell’umanità (di cui 897 beni culturali, 218 naturali e 39 misti) presenti in 167 Stati del mondo. Italia in testa con 58 siti, seguita da Cina, Spagna, Germania e Francia. Le nuove entrate del 2021 dei World Heritage Sites sono andate ai portici di Bologna, alle grandi città termali d’Europa (con Montecatini) e a Padova Urbs Picta, ossia i cicli pittorici del Trecento, Giotto e la Cappella degli Scrovegni (secondo sito padovano, dopo l’antico Orto Botanico, nominato nel 1997). E proprio a Padova, l’altro giorno, si è inaugurato il salone mondiale delle città e siti Unesco (quarta tappa padovana), che ha registrato anche la candidatura ufficiale del Veneto (annunciata dal governatore Luca Zaia) per ospitare la prossima Borsa internazionale dei siti Unesco.
Sembra insomma che la sigla Unesco abbia innescato una gara per le candidature, per le adesioni, anche se le “nomination” non comportano premi diretti, ma certamente influssi benefici indiretti sì, nella reputation della destinazione, e quindi nel turismo, nei servizi, nell’accoglienza, nel commercio. Tanto che il recente inserimento di Urbs Picta si dice porterà a Padova circa 300 mila turisti in più. Il “brand” Unesco, comunque, ha un costo: l’Italia vi contribuisce per circa 6 milioni di dollari all’anno. Per contro, va considerato il pericolo inflazione: se si allarga il perimetro premiale, si può finire col diluire il valore e l’attrattività delle nomination. In più, il riconoscimento può portare all’inerzia di una rendita di posizione, senza strategie di regolamentazione dei flussi, con buona pace di qualsiasi sostenibilità e la conseguente resa al pericolo dell’overtourism.
E dunque: il riconoscimento Unesco è una grande cosa, ma deve anche essere un punto di partenza per costruire su questo trampolino le nuove linee guida per un nuovo governo conservativo del territorio e per un turismo più consapevole, rispettoso e destagionalizzato. Il turista incentivato dal brand Unesco è già “educato” (secondo un’indagine Banca d’Italia uno su due è straniero, prevalentemente alla ricerca di una vacanza culturale), e quindi anche più disponibile ad accettare percorsi, tempi, indicazioni, purché le destinazioni sappiano organizzare gli arrivi e i circuiti al meglio.
“A rendere il riconoscimento un volano turistico – ha detto a Padova l’assessore regionale veneto al Turismo, Federico Caner – non concorre solo l’aggiudicazione del titolo, ma soprattutto l’impegno che tutti gli enti e i soggetti interessati devono profondere per promuoverlo. Un lavoro che la Regione del Veneto porta avanti da anni, soprattutto da quando, nel 2019, ha dato avvio al coordinamento regionale per i temi Unesco. I numeri degli arrivi e delle presenze turistiche ci dicono che oggi i siti Unesco, grazie anche alla loro specificità, sono tra gli attrattori artefici della ripresa turistico-economica del Veneto. Numeri importanti che contribuiscono ad affermare il Veneto regione più visitata d’Italia, con un’industria che si riconferma anche prima voce del bilancio regionale”.
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