C’è una canzone di Tom Waits che si intitola Big in Japan. Ironizza sul fatto di essere un artista sconosciuto in patria, ma famoso e amato in Giappone (cosa che realmente accade a molti artisti, per qualche ragione misteriosa). “Ho una casa ma sono senza contratto, ho le carte ma non la fortuna, ho un volante ma non un camion, ho la polvere da sparo ma non ho una pistola, ho un cane ma non ho da mangiare, ho le nuvole ma non il cielo, ma ehi, sono famoso in Giappone”, dice la canzone.



Una cosa del genere era successa a Sixto Diaz Rodriguez, soprannominato Sugar Man dal titolo della sua canzone più famosa, ma con la differenza che la sua notorietà era accaduta a sua insaputa e non ne aveva potuto goderne. Rodriguez, morto ieri a 81 anni nella sua città natale di Detroit, aveva subito tutte le sfortune che un uomo può subire, ma non per questo era mai stato arrabbiato con la vita. Anzi.



Sesto figlio di un immigrato messicano e di una nativa americana (per quello fu battezzato “Sixto”, il sesto), la sua carriera musicale era cominciata nel 1967, quando, sorta di novello Bob Dylan, si esibiva con una chitarra acustica nei peggiori locali della sua città. Notato dal proprietario di una piccola etichetta, la Impact, incise un 45 giri, il brano I’ll slip away. Sixto aveva una bellissima voce, capace di raggiungere le note più alte mantenendo una forza melodica che aveva pochi paragoni. Come quasi tutti i giovani del periodo guardava a Bob Dylan, il musicista più influente d’America, come punto di riferimento, producendo un folk di fortissimo impatto che su disco veniva colorato di tinte dolcemente psichedeliche. Per tre anni non incise più niente, poi venne raggiunto da un’altra casa discografica, la Sussex Record, che gli permise di incidere due bellissimi dischi, Cold fact nel 1970 e Coming from reality l’anno dopo, che però non ebbero alcun riscontro commerciale. Nonostante questo si mise al lavoro per un terzo disco fino a quando l’etichetta non fallì, nel 1975.



Bisognoso di lavoro, tenendo fede al titolo del suo secondo disco, “giungere dalla realtà”, non si lasciò cadere nella droga o in chissà che altro, ma tenne fede alla realtà che si imponeva: comprata una abitazione cadente alla periferia di Detroit a un’asta comunale per 50 dollari si mise a lavorare come muratore nel settore edile. I suoi colleghi lo ricordano come una persona di dignità altissima, che ogni giorno andava a lavorare con impegno, e che quando qualcuno scopriva che aveva fatto dei dischi, semplicemente ci sorrideva sopra. Fedele alla realtà anche quella da cui proveniva, quella degli immigrati poveri e emarginati, si impegnò attivamente per la sua comunità, candidandosi per il consiglio comunale di Detroit e poi anche a sindaco, ma anche qui senza alcuna fortuna. Ma non importava, perché chi lo conosceva lo amava e per lui era abbastanza: “Mi sarebbe piaciuto continuare a fare dischi, ma niente batte la realtà. Sono tornato al mio lavoro, il muratore, demolizioni e ristrutturazioni di edifici. Mi sono divertito. Mantiene sana la circolazione del sangue e ti tiene in forma” disse una volta.

Poi successe l’impensabile. Per qualche motivo, i suoi dischi avevano sempre venduto bene in paesi lontanissimi come l’Australia, il Botswana e il Sud Africa. Forse in quei paesi emarginati la gente coglieva una connessione speciale con la sua forza d’animo, con le coraggiose denunce contenute nelle sue canzoni. Quando i dischi finirono, una minuscola etichetta australiana, la Blue Goose Music, comprò i diritti delle sue sue canzoni. Rodriguez di tutto questo non sapeva niente. Ristampati, compreso un virtuale Best che conteneva due brani registrati nel 1973 e mai usciti in America (Can’t get away e Street boy), arrivarono a vendere milioni di copie. Per la gente del Sud Africa e dell’Australia, Sixto Rodriguez era più famoso e venduto di Elvis Presley.

Il motivo dietro a tutto questo era che la gente di quei paesi, specialmente il Sud Africa, si identificava in quello che lui cantava: molte delle sue canzoni contengono infatti temi anti-establishment, e coincidevano perfettamente con le lotte contro l’apartheid. Le sue canzoni non solo vendevano ma influenzarono la scena politica dell’epoca. Anche l’attivista anti-apartheid Steve Biko era un fan di Rodriguez.

Il successo in Australia gli permise di fare là due tour, nel 1979 e nel 1981, per poi scomparire di nuovo nel nulla, ma solo nel 1997, dopo che i suoi dischi erano stati ristampati su cd in Sud Africa dove continuavano a vendere parecchio, la figlia si imbattè per caso in un sito a lui dedicato, in cui ci si domandava che fine avesse fatto Rodriguez. Si facevano le ipotesi più bizzarre: che si fosse ucciso, che fosse morto sul palco durante un concerto.

Fu così che il cantante scoprì di essere “big in Sud Africa” e alla fine degli anni Novanta cominciò a esibirsi regolarmente nel paese accolto da decine di migliaia di fan adoranti. Si imbarcò in una battaglia legale per vedere riconosciuti diritti delle sue canzoni, cosa che durò quasi fino alla morte.

Ma in America Sixto continuava a rimanere un illustre sconosciuto.

Poi, nel 2012, al festival del cinema indipendente, il Sundance film festival di cui è direttore l’attore Robert Redford, arriva un documentario che colpisce tutti. Si intitola Searching for Sugar Man, e racconta le vicende di alcuni fan sudafricani che volevano scoprire se Rodriguez era effettivamente morto. Nel film appare lo stesso Rodriguez, intervistato nella sua casetta di Detroit, mentre si reca a lavorare nel rigido inverno della città, tranquillo e sereno, e conquista finalmente l’America e anche l’Europa. Il disco colonna sonora contenente sue canzoni recita in quarta di copertina un esplicito monito: “Rodriguez receives royalties from the sale of this release”, Rodriguez riceverà i diritti d’autore dalla vendita di questo disco, quello che non aveva mai ottenuto prima.

Qualche anno prima della pandemia avemmo modo di vedere in concerto al prestigioso Teatro Arcimboldi di Milano, solitamente riservato alle massime star della scena musicale mondiale, Sixto Rodriguez. Apparve come un fantasma, come un’incarnazione di una figura mitologica, giunta da una realtà parallela. Quasi cieco, salì sul palco accompagnato dal braccio affettuoso di una delle sue tre figlie. Il suo fu un concerto sconclusionato, improvvisato. Era accompagnato da tre ragazzi inglesi, una band noleggiata per quel tour, con la quale era evidente che non aveva quasi provato nulla. Non importò: per noi era abbastanza vederlo fisicamente davanti, come un eroe acciaccato che era passato attraverso un milione di battaglie, quelle della vita più dura e ingenerosa, ma dignitosamente era lì, a prendere gli applausi che meritava. Non gli vennero negati.

In un repertorio di canzoni bellissime, Sugar Man probabilmente resta il suo manifesto. Chiaramente ispirata a Mister Tambourine Man di Bob Dylan, non è solo un brano che parla dell’attesa di uno spacciatore, ma come nel brano di Dylan assume un significato trascendentale e quello anche di ridare forza a chi vive ai margini della società. “L’uomo dello zucchero” è un personaggio descritto come magico, che per una moneta è in grado di ridare il colore ai sogni del protagonista. “Sugar man, puoi sbrigarti? Perché sono stanco di tutto, in cambio di una monetina blu, sei in grado di riportare ogni colore nei miei sogni?”. Ma anche l’uomo dolce delle magie è stato tradito: “Sugar man ha incontrato un falso amico, su una polverosa strada solitaria, quando l’ho trovato si era trasformato in nero carbone morto”. Nonostante questo, il protagonista della canzone continua a sperare, come chi continua ad aspettare Godot: “Sugar man, tu sei la risposta che fa sparire le mie domande, Sugar man, sono stanco dei doppi giochi che sento in giro”.

Sugar Man se ne è andato un caldo giorno di agosto, nella tranquillità e serenità che lo ha sempre contraddistinto, e forse le sue ultime parole sono state quelle della prima canzone che incise: “Maybe today I’ll slip away”, forse oggi sguscerò via. Sei mai stato nell’oscurità dove la tua mente non trova pace, quando ti svegli dopo mezzanotte, allora sali sulla mia musica e le mie canzoni ti renderanno libero”. Grazie di tutto Sugar Man, l’uomo che tornò dal regno dei morti per riprendersi la vita, non solo per le bellissime canzoni ma anche per averci mostrato che la vita può essere vissuta con dignità, in qualunque condizione.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI