Come stia incidendo in profondità nella nostra cultura il riesplodere del conflitto tra Occidente e la Russia di Putin è dimostrato dalla quantità di serie tv costruite intorno all’idea che la Guerra fredda non sia mai finita. Si era solo assopita, come in un lungo letargo, che ci ha illuso – noi comuni mortali – di aver messo alle nostre spalle i duri anni della “cortina di ferro”. Certo, non c’è più un gigantesco muro sullo sfondo a dividerci, ma nel secolo della cybersecurity i mattoni possono davvero servire a poco. Detto questo colpisce come in molte serie le trame ci riconducono spesso a rovistare in archivi cartacei polverosi, alla scoperta di agenti ormai in pensione, vecchie “risorse” dormienti ormai dedite ad attività di giardinaggio, corposi arsenali nascosti in cantina.



Non poteva sottrarsi a questa regola anche la seconda stagione di Slow Horses, la bella serie il cui protagonista principale è interpretato dai uno dei più grandi attori viventi, Gary Oldman, il Winston Churchill de L’Ora più buia, che gli valse l’Oscar per cui aveva già concorso con La Talpa Mank. Oldman ha già dichiarato che Slow Horses sarà la sua ultima interpretazione prima del ritiro dalle scene. Non resta che augurarci un consistente numero di nuove stagioni.



Tornando a Slow Horses 2 sappiamo – dopo la prima stagione – che i “ronzini” alle dipendenze di Jackson Lamb – il trasandato e irriverente agente segreto interpretato da Oldman – sono in realtà spie di prima qualità del MI6. Sono stati spediti al “pantano” – la squallida sede degli emarginati – solo perché discriminati o vittime delle lotte di potere che dominano nel grande palazzo di Vauxhall Cross. MI6 è il servizio segreto di sua Maestà e da qualche tempo è sotto il controllo della perfida Diana Taverner, interpretata dall’altra star della serie, Kristin Scott Thomas, che può vantare anche lei un numero consistenti di premi e riconoscimenti (Quattro Matrimoni e un funerale, Il Paziente Inglese, Gosford Park.



Gli uomini del pantano stavolta sono presi di mira direttamente. Se nella prima stagione la squadra di Lamb era rimasta suo malgrado coinvolta (e aveva contribuito alla soluzione) in una complessa operazione antiterrorismo, adesso sono sotto attacco dei servizi segreti russi. C’è un vecchio conto da saldare, ma Lamb non riesce a connettere tutti gli elementi a sua disposizione. Intanto alcuni degli uomini della sua squadra muoiono in incidenti poco chiari, e per l’astuto agente segreto la situazione si complica fino a quando il giovane River Cartwright non incappa in una tranquilla famiglia in uno sperduto villaggio dello Yorkshire che altro non è che una cellula russa dormiente.

Anche stavolta la serie scorre veloce e ci lascia coinvolgere. La cosa migliore è proprio la cura dei personaggi minori, le loro storie che si intrecciano, la cura dei dettagli, che trovano nei due grandi protagonisti la giusta cucitura d’assieme. Slow Horses è diventata ormai una delle serie di punta della piattaforma Apple TV+ che sembra riservarci un 2023 di grandi sorprese e di nuovi arrivi. La competizione tra le varie piattaforme sta aprendo una nuova fase dell’offerta streaming. A costi che ovviamente stanno diventando crescenti (quanto paghiamo per usufruire di ogni piattaforma?) e che incominciano a mettere in difficoltà il vasto pubblico degli utenti occasionali. Anche per questo sembra essere chiara la tendenza a ritornare a formule meno onerose (come l’abbonamento mensile flat) a vantaggio di formule come l’acquisto “pay-per-view” o il ritorno alla più comoda pubblicità.

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