Spinta massima al lavoro agile nell’ultimo Dcpm con misure anti-Covid il quale estende fino al 31 gennaio lo smart working “semplificato”. Ciò permette alle aziende di collocare i lavoratori in smart working in modo unilaterale e senza gli accordi previsti dalla legge sul lavoro in remoto. A ruota è seguito il provvedimento firmato dalla ministra per la Funzione Pubblica Fabiana Dadone che porta la quota del lavoro agile per i dipendenti pubblici ad almeno al 50% del personale impegnato in attività che si possono svolgere a distanza. Abbiamo condensato in cinque frasi le convinzioni più diffuse sullo smart working secondo diverse prospettive e le abbiamo rivolte all’ex-sindacalista Marco Bentivogli, coordinatore di Base Italia, associazione apartitica ma non apolitica, e autore del libro “Indipendenti. Guida allo Smart Working”. Nel volume, edito da Rubettino, emerge chiaramente che la remotizzazione del lavoro non equivale semplicisticamente a lavorare da casa, ma consiste in una sfida complessa e articolata di astrazione dei tradizionali concetti di spazi e di orari di lavoro. 

1) Lo smart working con l’eliminazione degli spazi di lavoro collettivi porterà, nel medio periodo, a un mostruoso calo di produttività.

In realtà la produttività crolla se non si pratica lo smart working. Quest’ultimo è un processo di innovazione che deve riguardare tutta l’azienda o il ramo della Pa. Se il lavoro, la cultura organizzativa e aziendale, i suoi valori, non cambiano, spostare semplicemente il lavoro in presenza e remotizzarlo non consente di raggiungere i goal dello smart working. Laddove si fa correttamente, aumenta il benessere del lavoratore e aumenta la produttività. Peraltro gli spazi di lavoro e le palazzine direzionali sono ancora costruite sul modello del palazzo dove lavorava Fantozzi, sono “scrivanocentriche” e al salire della gerarchia cresce la grandezza della scrivania, dei mq dell’ufficio, si sale di piano. Tutti status inutili e anzi spesso dannosi per un lavoro in cui aumenta l’ingaggio cognitivo.

2) Lo smart working riduce pendolarismo e spostamenti intra-urbani con netto beneficio per la salute dell’ambiente, ma penalizzante per il tessuto cittadino del centro città, dei centri direzionali. Secondo il sindaco Sala è la morte dei centri storici.

La morte dei centri storici è continuare a considerarli mete dei turisti e contemporaneamente dei pendolari che arrivano finanche dalla Valtellina tutti i giorni. Il modello di business di una città basata sul pendolarismo determina una città sbagliata: inquinata, invivibile, intasata. Gli esercizi commerciali in difficoltà sono cresciuti, chiudendo quelli in periferia e nelle aree interne da cui la gente ogni mattina compie il proprio esodo quotidiano, disumano e inquinante, non solo per la mobilità, ma anche perché un quarto dell’energia mondiale è spesa per la climatizzazione degli immobili. Sono certo che il Sindaco Sala guarderà oltre il disagio di pochi per capire quello di molti e le tendenze irreversibili di mutamento. Io propongo, in periferia soprattutto, gli smartworkhub, luoghi che diano spinta alla città policentrica dove lavorare bene, con postazioni ergonomiche, buona connessione, un buon ristoro e piccole sale per meeting o formazione. Si stanno liberando tanti spazi commerciali in periferia e da anni.

3) Lavorare in remoto significa lavorare senza orari e di fatto lavorare molte più ore: bisogna tutelare il diritto alla disconnessione.

Il lavoro da remoto deve essere un lavoro per obiettivi. Maggiore autonomia e libertà sul “come, dove e quando”, ma anche maggiore responsabilità e fiducia di portare a termine gli obiettivi nei tempi previsti. Serve una mentalità nuova. In alcuni accordi aziendali avevamo scritto delle precise fasce di reperibilità e il diritto a non ricevere mail o messaggi dopo un certo orario, salvo gravi emergenze. La contrattazione aziendale e territoriale è la più utile per fissare linee guida.

4) Con lo smart working la comunità di lavoro diventa più liquida, l’organizzazione aziendale meno coesa, creando i presupposti per pratiche potenzialmente discriminatorie, contratti di lavoro più deboli.

Non per forza, lo smart working ha più necessità di lavoro di gruppo, di coordinamento, ci sono cose utili da mettere a punto, periodicamente, in presenza. Certo che la contrattazione va assolutamente ripensata, modernizzata, va tutelata la professionalità dei lavoratori e bisogna imparare a organizzarli anche nella loro frammentazione e dispersione. La debolezza contrattuale è tutt’altro che inevitabile, lo sarà se si pensa di fare cose simboliche e marginali e non si ha il coraggio di cambiare la contrattazione.

5) Con lo smart working si rivaluterà la vita fuori città, facendo risorgere piccoli borghi dove il costo della vita è più accessibile. Facebook, intenzionata, da qui a 10 anni, a telemigrare metà della sua forza lavoro, ha annunciato che gli stipendi saranno parametrati al luogo di residenza. La remotizzazione del lavoro riporterà in auge le gabbie salariali? 

Bene che si rivalutino i borghi, le aree interne: è soltanto una buona notizia. Fatevi un giro nei treni pendolari da queste aree verso Roma tutte le mattine. Il costo della vita è diverso in molte realtà, ma anche la qualità dei servizi sociali, della scuola, della sanità. Nessuno mette in conto, in quel costo, la migrazione per avere una sanità e una scuola decente. Se superassimo i blocchi ideologici di una parte del sindacato e di troppe aziende a decentrare la contrattazione, le “gabbie salariali” sarebbero un tema ancora di più da lasciare in un passato non rieditabile.

(Patrizia Feletig)