La scorsa settimana è stata celebrata la giornata di lutto nazionale in ricordo delle vittime del Covid. A un anno di distanza dal tremendo impatto che la pandemia ha avuto sul nostro Paese, possiamo dire non solo che il mondo è cambiato – il duro attacco di Biden a Putin è segno di questa nuova riconfigurazione -, ma che il cambiamento riguarda l’intero assetto sociale. E, soprattutto in un Paese come il nostro, è ben visibile.

Lo smart working è epicentro di questa rivoluzione. Proprio come nell’800, quando il processo di industrializzazione e il nascente sistema di fabbrica spostavano il lavoro dalla campagna alla città, oggi sta avvenendo qualcosa di simile: lo smart working sta spostando il lavoro dalla città alla periferia.

La pandemia ha accelerato il ricorso al lavoro da remoto perché il necessario distanziamento sociale non consentiva alternativa alcuna. E così, in tutte le imprese, si è praticato il lavoro a distanza. Ma, di per sé, il lavoro agile non è lavoro a distanza. O, meglio, non è solo lavoro a distanza. Il lavoro agile è essenzialmente strumento di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, come da anni vediamo nelle economie più avanzate della nostra (Usa, Uk e Germania ad esempio). Tant’è che oggi questa sua applicazione forzata, fa dire a molti – non a torto – che quello che stiamo praticando non sia lavoro agile.

Si tratta, naturalmente, di una nuova modalità lavorativa che chiede un salto di qualità nel management e, anche, nelle relazioni di lavoro (che non sono solo le relazioni sindacali): al di là del fatto che oggi il digitale favorisce quella datificazione della perfomance lavorativa per cui i manager hanno molti indicatori per verificare il lavoro dei loro sottoposti, si tratta ora di comprendere e di mettere in atto nuovi modelli di governance fondati sulla capacità di condividere obiettivi, sulla responsabilità delle persone, sulla crescente autonomia e, soprattutto, sulla fiducia.

È quello che è di recente avvenuto con un importante contratto aziendale destinato a diventare riferimento normativo per il sistema. Si tratta dell’accordo Bayer, in cui flessibilità e integrazione tra vita privata e lavorativa diventano cardine della nuova organizzazione del lavoro: il personale di sede di Bayer Italia, dal 1° aprile pv, potrà gestire i propri tempi, senza obbligo di timbratura, lavorerà da casa e si recherà in ufficio per esigenze di servizio e per condividere momenti di interazione con i colleghi anche in base alla pianificazione condivisa con il proprio responsabile.

Ora, il problema della relazione è fondamentale. Non si deve perdere di vista il bisogno che le persone hanno, anche nel lavoro, della relazione. Se, tuttavia, proviamo a considerare quelli che possono essere gli effetti di questa grande trasformazione, possiamo dire che: 1) il rapporto di lavoro agile non solo concilia tempi di vita e di lavoro, ma aggiunge fondamentale flessibilità all’interno delle organizzazioni: pensiamo a quanto, in particolare i manager che hanno agende molto indipendenti dal luogo di lavoro, siano facilitati nel contatto tra di loro attraverso il supporto della tecnologia digitale nelle loro comunicazioni anche in plenaria; 2) si riduce la mobilità e, quindi, l’inquinamento, fattore che faremmo bene a rendere sempre più centrale all’interno dell’agenda politica e nel nostro rapporto di cittadinanza; 3) le persone comprendono l’opportunità di migliorare la propria “qualità della vita” e cercano la periferia, elemento riscontrabile anche dall’andamento del mercato immobiliare.

Il distanziamento sociale progressivamente calerà, ma il cambiamento è irreversibile. È evidente che la città che si decongestiona e si svuota chiede uno sforzo significativo di nuova progettualità agli amministratori e di ripensamento anche a chi oggi vede ridursi la propria attività. La novità del ripopolamento dei borghi è tuttavia fenomeno importantissimo, sia perché offre possibilità di nuovi servizi, sia perché può liberare una nuova socialità – i borghi da sempre sono luogo di più vivace vita comunitaria -, elemento che può rivelarsi decisivo anche per la crescita economica.

La verità, nella complessità e drammaticità di questa fase, è che il lavoro agile è driver di cambiamento e di crescita, in particolare per l’occupazione femminile. La vera domanda è, semmai, se ci voleva la pandemia per capire che era ora di ripensare la nostra organizzazione lavorativa e sociale.

Twitter: @sabella_thinkin

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