La fine dello smart working emergenziale nella Pa, con tutte le condizionalità fissate nel decreto del Ministro Brunetta sul ritorno in presenza, la piena autonomia organizzativa attribuita alle singole amministrazioni, che definiranno nei Piao – Piani integrati di attività e organizzazione – le modalità operative per il lavoro agile, ha riproposto la questione di questa modalità di lavoro che proprio agile non si è rivelato ma ancora molto ibrido e rimane molta incertezza su cosa si potrà fare nel post-emergenza nella Pa.
Rispetto all’inizio della pandemia, le/gli smart worker italiani sono calati con una media di 3,6 giorni a settimana nella Pa e a parte l’efficienza e l’efficacia il cui consuntivo è ancora in corso di misurazione per pareri molto contrastanti l’aspetto più negativo è quello della comunicazione tra colleghi peggiorata per quasi il 50% nella Pa mentre solo un 16% dichiara un miglioramento. Crescono i modelli di lavoro ibridi, alla ricerca di un miglior equilibrio fra lavoro in sede e a distanza, e il vero smart working non è una misura emergenziale, ma uno strumento di modernizzazione che spinge a un ripensamento di processi e sistemi manageriali all’insegna della flessibilità e della meritocrazia, proponendo ai lavoratori una maggiore autonomia e responsabilizzazione sui risultati. A oggi strumenti e obiettivi non realizzati.
La condivisione forzata degli spazi di casa non piace, soprattutto con figli che seguono la didattica a distanza o richiedono attenzione, compagne/i in smart working e animali domestici. La convivenza in una stessa stanza, la condivisione di computer e connessione internet sono motivo di stress per chi lavora da casa e per il 20% degli smart worker significa perdere completamente il work-life balance. Lavorare nello stesso luogo in cui si cucina, ci si rilassa sul divano consente una continua invasione dell’ambito professionale in quello privato e viceversa. Anche i costi sono tra i problemi dello smart working: lavorare da casa è causa di costi extra che non si avrebbero in ufficio, al bar o in uno spazio di coworking: bollette, ma anche la spesa per preparare il pranzo. Costi che invece le aziende risparmiano per non parlare della sedentarietà coatta.
L’attività lavorativa fuori dai locali aziendali, fuori dal controllo diretto e dalla vigilanza del datore di lavoro comporta un mutamento all’interno del rapporto di lavoro subordinato, non solo in relazione ai poteri del datore di lavoro, ma anche agli obblighi di tutela della salute, sicurezza, malattia professionale, connessi al malfunzionamento e al difetto di sicurezza degli strumenti tecnologici. L’intensificazione dei ritmi e l’assenza di una netta separazione tra tempi di lavoro e tempi per la vita privata, nonché i rischi inerenti alla salute psico-emotiva e all’isolamento sociale, diventano un problema. Tempo e luogo di lavoro, diventati concetti più “fluidi”, tendono a mescolarsi fino a rendere la linea tra “lavoro” e “tempo libero” sottilissima.
In Italia esiste il diritto alla disconnessione, ma bisogna avere disciplina personale e di gruppo, altrimenti si ha sempre qualcuno che manderà messaggi urgenti la domenica pomeriggio, aspettandosi anche una risposta veloce. E quando non si lavora tutti nello stesso posto allo stesso momento, la sfida più grande è il coordinamento delle attività: da remoto diventa più complicato, specie se l’azienda non è strutturata per gestire personale distribuito e non ha creato un “team digitale diffuso”, capace di lavorare da remoto ed entrare ugualmente in empatia con il resto dei colleghi. L’unico obiettivo di primaria importanza per l’azienda è che venga raggiunto il risultato stabilito e incrementare la produttività. Tornare in ufficio almeno un paio di giorni alla settimana – sia per uscire di casa e ritrovare la separazione tra lavoro e vita privata, sia per ripristinare rapporti interpersonali e la socialità con i colleghi – è un sentimento diffuso, per poter collaborare, innovare e lavorare in tranquillità e in modo efficiente.
Lo smart working svela Inail aiuta a diminuire gli infortuni in itinere (-38,3%), ma apre a nuovi rischi per la salute dei lavoratori: 2,6 milioni di dipendenti “smart” lamentano problemi di salute legati alla postazione di lavoro mentre aumenta lo stress collegato ai tempi di lavoro dilatati e all’ansia da prestazione (49,7%), all’indebolimento delle relazioni aziendali (49,7%), alla paura di marginalizzazione (47%) e alla disaffezione verso il lavoro (39,9%).
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