La commissione Affari sociali del Senato ha approvato, in fase di conversione in legge del Decreto lavoro, un emendamento che proroga ulteriormente il “diritto al lavoro agile” per i genitori con figli sotto i 14 anni fino a fine 2023. Tale proroga riguarda solo i dipendenti di aziende private: per quanto riguarda i dipendenti pubblici, infatti, la proroga è stata bloccata dal ministro della Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo che ha dichiarato in una recente intervista: “Non siamo più in pandemia, per cui non credo ci sia più l’urgenza di intervenire sui genitori con figli under 14”.
Con l’inizio della pandemia, nel febbraio 2020, i primi decreti del presidente del Consiglio hanno incoraggiato l’uso dello smart working (prima previsto solo con accordo scritto tra le parti), svincolandolo dall’obbligo di accordo scritto, e rendendolo in alcuni momenti l’unico modo perché le aziende potessero lavorare ed evitare o quanto meno ridurre la cassa integrazione. Con la chiusura delle scuole, iniziata con la seconda ondata pandemica dell’autunno 2020, il legislatore, per supportare i genitori lavoratori, ha introdotto il diritto allo smart working per il genitore con figli under 14, a condizione che l’altro genitore fosse occupato e che la prestazione lavorativa fosse compatibile con l’attività da remoto. Fortunatamente nell’anno scolastico 2021/2022 non ci sono state chiusure scolastiche e lo stato di emergenza è terminato al 31/03/2022, tuttavia le diverse maggioranze hanno, senza particolari dibattiti o riflessioni, proseguito a prorogare, di sei mesi in sei mesi, questo diritto allo smart working, fino all’ultima proroga attualmente approvata.
Nel frattempo, moltissime aziende si sono organizzate, comprendendo i pro, ma anche i contro, del lavoro da remoto, hanno attivato momenti di confronto e dialogo con i lavoratori, sottoscritto accordi sindacali, approvato regolamenti validi per tutti i dipendenti, finalizzati a rendere la possibilità di lavorare in smart working qualcosa di ordinario per tutti i lavoratori, disciplinato in maniera seria e chiara.
Altre realtà hanno ritenuto di ridurre, con il finire della pandemia, la possibilità di lavorare da remoto in maniera significativa, magari perché accortesi che non tutti i dipendenti lavorano bene da remoto e la produttività è calata, o perché i “furbetti” sono stati particolarmente numerosi, o perché in un’azienda che ha l’80% del personale in produzione permettere al restante 20% di lavorare da casa in maniera stabile rischia di rompere equilibri già abbastanza precari.
Le stesse aziende, a volte dimostrandosi più avanti rispetto al legislatore, hanno cercato di comprendere le necessità di conciliazione vita-lavoro dei propri dipendenti, introducendo sistemi di welfare aziendale, sostenendo i lavoratori in particolari situazioni personali con orari di lavoro più favorevoli, compiti più adeguati e molte forme di supporto di diverso tipo, privilegiando i genitori nella scelta dell’orario di lavoro e, spesso, anche nell’accesso allo smart working.
Gli stessi lavoratori hanno iniziato a considerare lo smart working un benefit da contrattare, sia in sede di colloquio di assunzione che successivamente, e in alcuni settori è diventato impossibile trovare lavoratori senza offrire ampia possibilità di lavoro agile. Infine, le tipologie di lavori che concedono la possibilità di lavoro agile, e le aziende che lo favoriscono, sono diventati più attrattivi nei confronti di nuovi talenti, e in particolare dei giovani, sempre più attenti al tema della conciliazione vita-lavoro.
Non si capisce pertanto la ragione che stia spingendo il legislatore a prorogare ancora una volta il diritto allo smart working per i genitori in assenza di accordo con l’impresa, mentre ben si comprende come lo Stato, nei confronti dei propri dipendenti, anche se genitori, abbia remore significative a concedere un diritto illimitato al lavoro agile. Appare infatti una scelta miope, che non guarda a quanto sta accadendo nel mondo del lavoro, dove lo smart working è diventato sempre più una modalità ordinaria di esercizio dell’attività lavorativa, e proprio per questo è sottoposta a limiti, vincoli e anche controlli da parte del datore di lavoro, che possono portare alla revoca dello stesso. Appare poi una scelta che non tutela adeguatamente la libertà di impresa e in particolare il diritto dell’imprenditore a organizzare in maniera autonoma il lavoro all’interno dell’azienda e che rischia di agevolare soltanto quei pochi che sfruttano il lavoro agile allo scopo di lavorare il meno possibile.
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