Gli effetti della pandemia non danno segnali di regressione. Nonostante l’avvio della fase di vaccinazione continuano e continueranno ancora per mesi le limitazioni a momenti di convivenza e socialità. D’altro canto la trasmissione del virus avviene per vicinanza con i contagiati e l’unica difesa certa che per ora abbiamo trovato è porre limiti ai momenti collettivi.
La spinta alla diffusione del telelavoro viene da questo limite che il virus ha posto alla normale organizzazione del lavoro. In qualche caso si è innestato sulle prime sperimentazioni di smart working già in atto. La stessa legislazione si era già accorta che si stavano diffondendo lavori, anche subordinati, che non avevano più necessità di sedi fisiche dove svolgersi in modo collettivo. La legislazione sul lavoro agile ha cercato di rispondere a questo primo diffondersi di nuovi lavori con organizzazione a distanza e alle prime prove di riorganizzazione del lavoro d’ufficio con alcuni giorni di lavoro da sedi esterne a scelta del lavoratore.
L’evento eccezionale ha portato a lasciare a lavorare da casa quasi tutte le professioni che si prestavano a essere svolte con il semplice uso di telefono e computer. Non si tratta ancora di vero e proprio smart working, ma è indubbio che molte organizzazioni aziendali stanno subendo un ridisegno per prevedere, nel futuro, una definizione nuova che preveda lo smart working come prassi normale.
Il dibattito ha per ora preso in considerazione soprattutto gli impatti che la nuova organizzazione del lavoro ha sul territorio urbano. Le zone di uffici si presentano oggi desertificate ed è sparita anche la domanda di servizi per bar, palestre e altri servizi di supporto per chi lavora in zona. I lavoratori torneranno, magari con turni, e ripartirà almeno in parte la domanda di servizi e magari torneranno anche quote di residenza.
Non tutto è però segnale di crisi. Come sempre una parte del problema può presentarsi come opportunità per creare nuove opzioni di sviluppo per territori che ambiscono ad avere nuove opportunità di crescita lavorativa.
È questo il caso di due progetti che si sono posti un obiettivo comune e che potremmo chiamare di south working, visto che entrambi nascono con la volontà esplicita di rispondere al bisogno di lavoro del Mezzogiorno sfruttando l’opportunità offerta dalla diffusione del lavoro a distanza. I due progetti nascono dal dibattito sociale aperto in due ambiti culturali come la Fondazione per la Sussidiarietà, da un lato, e dall’Associazione Volare, dall’altro. Dal dibattito sulle idee alcuni amici nell’ambito delle due associazioni hanno poi dato vita ai due progetti denominati “Il Luogo” e “REMAIN”. Hanno in comune l’idea di creare opportunità di lavoro al sud tramite lavoro a distanza con modalità in parte però diverse.
Il progetto “Il Luogo” è partito dal cogliere come con il lavoro a distanza molti siano tornati a svolgere la loro attività nelle località di origine. Qui, sistemato il problema della connettività, sono però monadi a cui manca la sede per relazioni sociali. Se l’obiettivo che si vuole perseguire realmente è sviluppare sedi lavorative in alternativa all’emigrazione al nord, occorrono opportunità più stabili del salotto di casa.
Questa opportunità si sposa inoltre con l’esigenza di sostenere programmi di ripopolazione di borghi e comuni che, fuori dalle direttrici di sviluppo economico, paiono destinati a un progressivo abbandono e alla morte demografica. Da qui l’idea de “Il Luogo”. Definire un progetto tipo per creare luoghi di coworking che riescano a saldare assieme la domanda di un posto attrezzato per poter svolgere lavoro a distanza senza sacrificare la crescita di relazioni con altri lavoratori e il portare opportunità di lavoro in territori altrimenti destinati alla decadenza. La relazione con aziende del terziario avanzato e l’adesione al progetto di imprese delle comunicazioni assicurerebbe il supporto economico e la credibilità operativa alle sedi realizzate.
Il progetto “REMAIN” (come dice lo stesso acronimo pensato prima della pandemia) si pone esplicitamente l’obiettivo di creare opportunità lavorative, basate sul lavoro a distanza, rivolte a giovani laureati o diplomati che possano così iniziare una carriera lavorativa senza abbandonare il territorio. Il progetto prevede perciò di attrezzare sedi dove possano crearsi postazioni di lavoro per contratti di singoli o per sedi secondarie di imprese.
Il matching fra domanda e offerta di lavoro sarà assicurato dalla collaborazione con Agenzie per il lavoro e convenzioni con gli uffici di placement delle università del territorio. La struttura di coworking potrà poi eventualmente assicurare percorsi formativi, momenti di promozione di sviluppi comuni alle imprese presenti nella sede e tutoraggio per percorsi di crescita professionale individuali.
I due progetti sono ora nella fase delle verifiche pratiche con la realtà e per lo sviluppo di business plan credibili. Entrambi hanno la vocazione a creare forme societarie non profit e anche su questo versante stanno misurando quale modello sia più realistico e più funzionale per sostenere organizzativamente e finanziariamente quanto per ora immaginato.
C’è stato un primo incontro dove si sono discussi i punti in comune. Ci sarà bisogno di molto impegno di tutti per far decollare progetti che possono assieme essere l’avvio di una nuova opportunità per lo sviluppo del Mezzogiorno.