La rivoluzione dello smart working nelle Pubbliche Amministrazioni, ma anche probabilmente nel privato, non può essere calata dall’alto, va invece accompagnata, sostenuta e monitorata con attenzione. Un cambiamento, certamente storico come questo, ha bisogno di essere governato. È in questa prospettiva che il Ministro Fabiana Dadone ha firmato il decreto che istituisce l’Osservatorio (l’ennesimo?) nazionale del lavoro agile nelle amministrazioni pubbliche

Si scopre così che l’Osservatorio sarà composto da ben 27 rappresentanti di Governo, Regioni, enti locali, Inps, Istat e altre istituzioni, tra cui un membro per conto dell’Enea, in modo da poter approfondire con attenzione anche gli aspetti connessi alle tecnologie, all’energia e allo sviluppo sostenibile. A essi si aggiungeranno poi altri 14 esperti del settore pubblico e privato o provenienti dal mondo universitario, che andranno a costituire una Commissione tecnica di supporto.

L’Organismo nasce, nella volontà dell’esecutivo, per fornire, si spera utili, spunti e proposte di carattere normativo, organizzativo o tecnologico per migliorare sempre più lo smart working nelle Pa, anche interagendo con i principali stakeholder, per sviluppare le competenze del personale pubblico, le capacità manageriali dei dirigenti, la misurazione e valutazione delle performance organizzative e individuali.

Lo stesso verificherà, inoltre, che la qualità dei Pola (Piani Organizzativi del Lavoro Agile) messi a punto dai diversi enti e la loro capacità di raggiungere gli obiettivi quantitativi e qualitativi fissati e monitorerà, allo stesso tempo, gli effetti dello smart working sull’organizzazione e i benefici per i servizi ai cittadini promuovendone, quindi, la diffusione sul piano comunicativo e culturale.

L’impegno, insomma, del Governo è di lavorare per cambiare, in questo momento storico, il volto, e il funzionamento, del lavoro pubblico per avvicinarlo sempre più alle esigenze (specialmente le nuove ed emergenti) concrete della collettività.

Pur riconoscendo la centralità del tema nell’immaginare l’Italia del domani viene da chiedersi se, onestamente, fosse necessario un altro organismo tecnico/consultivo o non si potesse, altresì, utilizzare, in maniera più intelligente, le risorse, spesso anche molto qualificate, già presenti nelle nostre amministrazioni pubbliche.

Il consiglio, probabilmente non richiesto, che possiamo certamente dare, in ogni caso, al nuovo osservatorio è quello di lanciare un piano, in altri tempi si sarebbe detto “quinquennale”, di investimenti sulle infrastrutture informatiche e digitali dello Stato a partire, ad esempio, dalla intercomunicabilità delle diverse banche dati pubbliche che, spesso, è solo teorica.

Senza, infatti, tali presupposti ogni “rivoluzione” smart della Pubblica amministrazione rischia di rimanere sulla carta, velletaria e, la cosa di gran lunga peggiore, analogica e, quindi, incapace di dare risposte a una società sempre più veloce, globale e iperconnessa.