Francamente diventa arduo capire la decisione del ministro Zangrillo di tentennare sulla questione della dubbiosa scelta avvenuta lo scorso 29 dicembre, all’indomani della mancata proroga che  pone gli statali in una condizione di sfavore rispetto ai lavoratori del settore privato a cui, invece, la legge di conversione del dl Anticipi (dl 145/2023) ha riconosciuto per lavoratori fragili e genitori di figli under 14 un allungamento del lavoro da remoto emergenziale fino al 31 marzo 2024.



Se è vero come è vero che il capitale umano, la semplificazione e la digitalizzazione sono i tre elementi che portano alla soluzione dei problemi dell’efficienza, la semplificazione non esiste come oggetto in sé: è una costellazione, un insieme che necessita di approcci diversi. La regolazione tende a preservare se stessa e a complicarsi. Poiché il Pnrr richiede di semplificare 600 procedure amministrative entro il 2026, bisogna partire da quelle per la disabilità, a 360 gradi. I più deboli subiscono l’assurdità di una regolazione nata per tutelarli che finisce per ritorcersi contro di loro.



Dobbiamo pensare di  contrastare il digital divide, le fragilità, le semplificazioni per chi è più in difficoltà. Zangrillo  sulla mancata proroga dello smart working per i lavoratori fragili della Pubblica amministrazione ha spiegato che  è stato obiettato un costo di 60 milioni di euro da parte della Ragioneria Generale dello Stato. Non c’erano i 60 milioni e, quindi, non c’è stata la proroga. Ma   non serve la copertura di 60 milioni, perché la circolare che ha poi firmato il 5 gennaio scorso, per quanto riguarda lo smart working pubblico e privato, consente alle amministrazioni di attribuire lo smart working ai lavoratori fragili senza costi, fruendo della flessibilità prevista dalla circolare, senza oneri.



Il lavoro da remoto è ibrido, parte in presenza e parte da remoto. Bisognava  trovare  dunque l’equilibrio e il Ministro per lo smart working nella Pa ha passato la parola  ai dirigenti poiché il Milleproroghe in Gazzetta Ufficiale (decreto legge 30 dicembre n. 215 pubblicato lo stesso giorno sulla G.U n. 303) l’ha previsto per il privato. Il che  palesamente dimostra  anche che nel pubblico impiego ci si deve organizzare per gestire il passaggio dallo smart working pandemico a quello a regime che ha trovato regolamentazione negli ultimi contratti collettivi della Pa (triennio 2019-2021). Nella direttiva, Zangrillo osserva come l’ormai superata emergenza pandemica (dichiarata conclusa dall’Organizzazione mondiale della sanità il 5 maggio 2023) abbia decretato il passaggio dello smart working da strumento emergenziale alla “sua reale natura di strumento organizzativo” che per forza di cose non può prescindere, per ciascun lavoratore, da un accordo individuale, sottoscritto con il dirigente/capo struttura, in cui mettere nero su bianco “obiettivi e modalità ad personam dello svolgimento della prestazione lavorativa”. Lo strumento del lavoro agile come volano di flessibilità orientato alla produttività e alle esigenze dei lavoratori   è però stato  ritenuto utile nel lavoro privato per prorogare ulteriormente i termini  che stabilivano l’obbligatorietà del lavoro agile per i lavoratori che  come i genitori di figli under 14, a cui lo smart working emergenziale consente  di poter sopperire alla necessaria e temporanea  flessibilità  e ai lavoratori “fragili”, per i quali è stato previsto lo svolgimento obbligatorio della prestazione lavorativa da remoto.

Ma  la tutela dei fragili nella Pa non deve certo considerarsi cessata con la mancata proroga dello smart working.  E dunque con un ragionevole mezzo passo indietro  il ministro ha  ritenuto  necessario evidenziare la necessità di garantire, ai lavoratori che documentino gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute, personali e familiari, di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile, anche derogando al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza. La palla passa, secondo la direttiva, dunque, agli accordi individuali e ai dirigenti che dovranno firmarli il compito di “individuare le misure organizzative necessarie”. Anche se comunque nel privato addirittura, ope legis, non solo c’è l’indicazione chiara di procedere alla proroga fino al  31 marzo 2024, ma senza accordo individuale sottoscritto. Alè.

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