Alla luce del quadro normativo “in progress” legato alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 il Governo ha ritenuto, nei giorni scorsi, di dover individuare, con un decreto ministeriale, modalità organizzative e criteri omogenei, su tutto il territorio nazionale e per tutte le amministrazioni, per assicurare l’applicazione dello “smart working” semplificato con lo scopo di coinvolgere almeno il cinquanta per cento del personale della Pa.

Il lavoro agile potrà, quindi, avere a oggetto sia le attività ordinariamente svolte in presenza dal dipendente, sia, in aggiunta o in alternativa e comunque senza aggravio dell’ordinario carico di lavoro, attività progettuali specificamente individuate tenuto conto della possibilità del loro svolgimento da remoto. Di regola, in questo nuovo quadro, il lavoratore pubblico “agile” potrà così alternare giornate lavorate in presenza e quelle da remoto. Si specifica, ovviamente, che i lavoratori che renderanno la propria prestazione in modalità agile non potranno subire penalizzazioni nella progressione di carriera.

Le pubbliche amministrazioni, e in particolare i dirigenti, saranno così chiamati a ripensare la propria organizzazione favorendo la rotazione del personale secondo criteri di priorità che considerino, in particolar modo, le condizioni di salute dei dipendenti e dei componenti dei loro nuclei familiari (ad esempio la presenza nel medesimo di figli minori di quattordici anni). In ogni caso, in ragione della natura delle attività svolte dal dipendente o di specifiche esigenze organizzative, il lavoro, sebbene “smart”, potrà essere organizzato per specifiche fasce di contattabilità garantendo comunque i tempi di riposo e la necessaria disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro.

Un tema, quello della possibilità, nonostante tutto, di entrare in contatto diretto con la Pubblica amministrazione, che emerge, con il prorogarsi dell’emergenza e l’istituzionalizzarsi dello “smart working“, come centrale. Questa nuova modalità di operare della macchina pubblica presuppone, infatti, anche cittadini, e imprese, “smart” e agili.

La constatazione è che, spesso, nel nostro Paese non è così e che, probabilmente, una parte significativa delle risorse del Recovery fund dovrà essere investita sull’alfabetizzazione digitale di massa. Senza questa, infatti, il rischio è che questo sforzo di immaginare uno Stato più “intelligente”, e “amico” dei cittadini, rischi, alla fine, di ampliare ulteriormente, e inaccettabilmente, le disuguaglianze socio-economiche già presenti nel nostro Paese anche prima della pandemia.