Un innovativo ripensamento dei pilastri sui quali si fonda l’attuale organizzazione del lavoro: è questa, al di là di ogni ragionevole dubbio, una delle più significative conseguenze che l’emergenza epidemiologica da Covid-19 ha comportato. Una nuova organizzazione non solo degli spazi e dei tempi di lavoro al fine di garantire la sicurezza del lavoratore stesso, ma una vera e propria nuova filosofia sottesa alle modalità per mezzo delle quali rendere la prestazione lavorativa si è imposta e continuerà a imporsi nella fase post Covid-19: il lavoro da casa non è sinonimo di improduttività dovuta alla mancanza dell’occhio vigile del superiore gerarchico, ma, anzi, si è spesso accompagnato a un notevole incremento del senso di responsabilità insito in ciascun lavoratore, comportando un miglioramento dei tempi, nonché della qualità della prestazione resa.



Occorreva una pandemia mondiale per porre l’attenzione su uno strumento che in Italia esiste dal 2017, ma che, in realtà, poche realtà imprenditoriali si sono dimostrate propense a utilizzare. È pur vero che lo smart working propriamente inteso, disciplinato dalla Legge n. 81/2017, è in realtà ben diverso da quanto abbiamo avuto modo di sperimentare in questi mesi in versione nettamente semplificata: la mancanza di necessità dell’accordo individuale tra datore di lavoro e lavoratore, prevista dal legislatore per tutta la durata del periodo emergenziale, ha sicuramente facilitato le modalità di attivazione di tale strumento, riducendone notevolmente i tempi.



Tuttavia, occorre ribadire come tale modalità di svolgimento della prestazione di lavoro subordinato (è questa la locuzione utilizzata dal legislatore in sede di regolamentazione del lavoro agile c.d. “ordinario”, non trattandosi in alcun modo di una nuova tipologia contrattuale) a oggi, a seguito dei positivi risultati ottenuti nel corso dell’emergenza sanitaria, possa più facilmente rispetto a quanto avvenuto in passato portare alla conclusione di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore che contemperi le esigenze di entrambe le parti.

Peraltro, vantaggi notevoli sono prospettabili non solo da parte del lavoratore in termini di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro; anche la parte datoriale, sicuramente in passato meno incline a concedere tale modalità di svolgimento della prestazione, può ottenerne ripercussioni in senso positivo non solo in termini di aumento della produttività aziendale, ma altresì da un punto di vista di risparmio di costi, oggi più che mai essenziale in vista della crisi economica in atto. Infatti, tale nuovo modello organizzativo, se implementato con procedure e strumenti di lavoro adeguati, permette l’eliminazione di postazioni fisse di lavoro, riducendo notevolmente gli spazi fisici necessari all’impresa; da ciò deriva non solo un abbattimento dei costi di affitto degli uffici, ma altresì di posti auto, utenze, mense aziendali, buoni pasto, infrastrutture tecnologiche. Basti pensare che dati qualificati attestano un risparmio generale di 10 mila euro all’anno per singolo dipendente se il lavoratore è al 100% in lavoro agile; solamente sugli spazi fisici la riduzione dei costi è in media pari al 30%. Trattasi di cifre notevoli soprattutto nell’attuale contesto ove occorre garantire una ripresa economica il più possibile rapida ed efficace.



È pur vero che questo nuovo modello organizzativo comporta non pochi aspetti sfidanti, i quali necessitano di una pronta soluzione per poter goderne appieno dei vantaggi. Si pensi, ad esempio, al maggior isolamento a cui il lavoratore è costretto, spesso ostacolo a un confronto collaborativo con gli altri colleghi, alla concreta difficoltà di definire un preciso confine tra vita lavorativa e vita privata, nonché alla necessità di risolvere autonomamente problemi tecnici connessi al prolungato utilizzo della strumentazione tecnologica.

Trattasi, a ben vedere, di criticità dovute a una scarsa dimestichezza con tale modalità di svolgimento della prestazione, le quali possono essere facilmente superate, incentivando altresì la programmazione di corsi di formazione organizzati dall’impresa e volti a favorire un corretto ed efficace utilizzo del lavoro da remoto. Si pensi, ad esempio, all’implementazione di sistemi di messaggistica istantanea e di videoconference, diretti a garantire una comunicazione continua e regolare con i colleghi, alla fissazione di una routine giornaliera con spazi e tempi ben organizzati nei quali svolgere la prestazione, nonché all’utilizzo di strumenti tecnologici all’avanguardia in grado di minimizzare i rischi connessi a un loro malfunzionamento.

La necessità di lavorare da remoto ha senza dubbio abbattuto vecchie barriere culturali, diffidenti e restie nei confronti di una modalità di svolgimento della prestazione all’avanguardia e innovativa. La sfida che, oggi, la cultura imprenditoriale è chiamata ad affrontare consiste nel convertire uno strumento reso necessario dall’emergenza sanitaria in una best practice di successo, che possa altresì contribuire a un rilevante abbattimento di costi, oggi più che mai di vitale importanza al fine di garantire la sopravvivenza di molte realtà imprenditoriali.