Bentornato Brunetta! Ci voleva il mal di pancia dello smart working rivendicato da alcuni e biasimato da altri ma – nel caso concreto – gradito a molti impiegati statali, per far dire al Brunetta di governo “qualcosa di Brunetta”.
Fuor di metafora, e traducendo: il ministro della Pubblica amministrazione, rispondendo ieri ad alcune domande, ha detto una cosa sacrosanta: che cioè lo smart working, almeno com’è stato vissuto negli uffici pubblici durante il lockdown, “sostanzialmente è un lavoro self-service, all’italiana, da casa. Pensare di proiettare nel futuro questo tipo di organizzazione mi sembra un abbaglio”.
Sante parole. Certo: sarebbe da stupidi negare che un po’ di lavoro “da remoto” è entrato e resterà stabilmente tra gli strumenti ordinari del lavoro dipendente, perché è comodo per le imprese risparmiare sugli spazi assegnati ad alcune tipologie di lavoratori la cui prestazione si può controllare a distanza o comunque in un modo telematicamente consentito, ad esempio i call center. Però è evidente che questo format non è applicabile a tutti i lavori indistintamente.
Brunetta ha semplicemente detto la verità: e non ha dato l’impressione – per carità, solo l’impressione, perché è notoriamente perfetto, quindi se anche avesse dato l’impressione sarebbe stata un’impressione sbagliata – di voler edulcorare la comunicazione a beneficio dei sindacati, che da quando è tornato al governo non ha mai contrastato. Lui che ne era stato contestatissimo e quasi odiato alla sua precedente esperienza in quel ministero.
Brunetta, rivendicando il suo passato da “vecchio socialista”, ha ricordato di aver dato lui il mandato all’Aran di contrattualizzare lo smart working “perché nessuno l’aveva fatto prima”, poi ha smontato l’esempio positivo dell’Inps fatto da qualcuno, spiegando che “l’Inps già lavorava con un’organizzazione da remoto e quindi quel che gli analisti più fini hanno evidenziato è che il lavoro da remoto ha funzionato durante lockdown dove era già strutturato con una piattaforma digitale preesistente”.
Quindi ha avuto ragione Brunetta nel presentare il lavoro smart come “una risposta emergenziale al lockdown”, ricordando però che “il lavoro agile non ha affatto garantito servizi pubblici essenziali, quelli li hanno garantiti i lavoratori di sanità, lavoratori della sicurezza, della scuola”. E poi la bordata: “Questo tipo di lavoro può essere pensato come un modello per il futuro? Questo lavoro è senza contratto. È senza obiettivi: non c’è stata nessuna riorganizzazione per obiettivi. È senza tecnologia, è lavoro a domicilio con uso di smartphone e computerino personale, è senza sicurezza. Sostanzialmente è un lavoro self-service, all’italiana, da casa”.
Poi l’autogratificazione: “Invece abbiamo il Pnrr, abbiamo cambiato il modo di fare i concorsi pubblici, abbiamo l’interoperabilità della banche dati, stiamo procedendo con il passaggio al cloud… questo è il futuro, non il lavoro a domicilio senza tecnologie né contratto né organizzazione”.
Tutto vero: sia consentito di dubitare un po’ sull’efficacia dei nuovi concorsi, dell’interoperabilità delle banche dati, del cloud made in Colao. Il tono alla Pinocchio – “oggi imparo a leggere, domani a scrivere, dopodomani a far di conto” – che stavolta, per la prima volta (a differenza di molti colleghi più loquaci) ha adottato anche Brunetta, non è prudentissimo. Meglio abbassarlo di un’ottava, forse.
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