A metà dicembre è arrivata una nuova proroga – fino a marzo – del diritto allo smartworking nel settore privato: ne potranno usufruire i genitori di figli sotto i 14 anni e i lavoratori fragili. Quanto questa modalità di lavoro ha un impatto positivo sul lavoro? Ad analizzarlo è stato il Politecnico di Milano nel suo ultimo “Osservatorio sullo smartworking”. Secondo lo studio, poter scegliere il luogo fisico dal quale lavorare migliora la qualità del lavoro e il “come” si lavora. Sono tre, infatti, le dimensioni del benessere analizzate, quelle indicate dall’Oms: psicologica, fisica e relazionale. Il risultato mostra che “complessivamente, il 12% dei lavoratori dichiara di “stare bene” su tutte le dimensioni”, spiega Il Sole 24 Ore.
Analizzando le tre dimensioni del benessere dei lavoratori, il 30% dichiara di stare bene dal punto di vista fisico, il 35% riporta un elevato livello di benessere psicologico e il 37% ha un alto benessere relazionale. Questi aspetti, come spiegato da Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Polimi, “sono stati sostanzialmente una conferma di quanto era già emerso da nostre o da altre ricerche. Il dato invece nuovo riguarda il malessere dei remote worker. Sostanzialmente quello che incide o meno sulla qualità del lavoro non è tanto lavorare o meno da casa, ma il modo. Se cioè si lavora per obiettivi, con tempi flessibili e sentendosi valorizzati”.
Smartworking, anche lati negativi per i lavoratori
Come spiega il Sole 24 Ore analizzando la ricerca del Politecnico di Milano, i dati mostrano come tutte le dimensioni del benessere siano più alte tra chi fa smartworking rispetto alle altre due categorie mentre i “remote non smart” mostrano livelli inferiori di benessere anche rispetto ai lavoratori on-site. Parlando invece del benessere relazionale “smart worker e remote non smart si posizionano quasi allo stesso livello, mentre gli on-site mostrano livelli di benessere più bassi” si legge ancora nello studio del Polimi.
Secondo Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio del Polimi, “le aziende che sono più attrattive e che generano più engagement sono quelle che offrono un modello di qualità organico. Sono anche le aziende che hanno più risultati in termini economici e sul mercato del lavoro”. C’è però anche un aspetto negativo: gli smartworker sono la categoria più esposta ai fenomeni di tecno-stress e overworking. Gli impatti negativi a livello psicologico della tecnologia hanno interessato il 38% dei lavoratori smart, il 31% dei lavoratori remote non smart e il 28% di quelli on-site.