La classifica della società svizzera IQAir, che colloca Milano in cima alla classifica delle città più inquinate al mondo, lascia il tempo che trova. Ma il problema dell’inquinamento, che in questi giorni sta avendo il suo picco, resta e va affrontato seriamente, agendo sul parco macchine, sul riscaldamento e sull’agricoltura. E non è un tema che può essere affrontato a livello locale, ma europeo, sostenendo persone e imprese che vogliono cambiare i mezzi che usano per spostarsi e utilizzare pannelli fotovoltaici e pompe di calore per scaldarsi, oppure favorendo il ricorso al trasporto su rotaia.



Per fare tutto questo, spiega Antonio Ballarin Denti, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Lombardia per l’Ambiente, va applicato un principio di solidarietà che tenga conto del fatto che la Pianura Padana, per la sua conformazione, parte svantaggiata rispetto ad altre aree, perché non ci sono condizioni sufficienti per un buon ricambio dell’aria.



Le risorse di un piano europeo per la qualità dell’aria, insomma, non andrebbero distribuite a pioggia, ma convogliate sulle zone che soffrono di più il problema, come l’area di Milano e delle province lombarde che si diramano da lì. Intanto, per ridurre lo smog nei momenti di particolare concentrazione degli inquinanti, si potrebbe limitare la velocità delle macchine o anche la temperatura in casa.

Secondo la società svizzera IQAir, Milano è tra le città più inquinate del mondo. Una classifica che corrisponde a verità?

Le classifiche vanno bene per i campionati sportivi, ma per il resto occorre fare attenzione a come si stilano. Per l’inquinamento dipende che periodi e valori si prendono in considerazione. Dunque tali classifiche sono relative; bisognerebbe confrontare il dato acquisito con i valori atti a proteggere la salute dell’uomo. La situazione di questi giorni, comunque, è sicuramente molto critica, con un picco che è uno dei più alti negli ultimi anni.



Quali sono i motivi?

Il primo è strutturale: la Pianura Padana è un naturale catino di raccolta dell’inquinamento. È una conca circondata da montagne, con una meteorologia che non facilita il ricambio dell’aria atmosferica. È una caratteristica che altre aree non hanno. Poi ci vivono 30 milioni di persone, con uno dei Pil più alti d’Europa: gente che lavora, produce, ci sono industrie e molto traffico commerciale e privato, l’agricoltura intensiva. Queste sono le condizioni “al contorno”, alle quali non si può sfuggire.

Ci sono anche altri fattori da tenere in considerazione?

Bisogna vedere quali sono le politiche messe in campo per diminuire le emissioni; se queste ultime calano, diminuisce anche la concentrazione di inquinante in un metro cubo. La politica ha fatto poco, ma non è stata neanche con le mani in mano: le direttive europee da una parte e le politiche locali, regionali e nazionali hanno prodotto risultati positivi. La qualità dell’aria è molto migliore di 50 anni fa e anche di 15-20 anni or sono, anche se siamo ancora lontani dai traguardi prefissati, ad esempio, dall’OMS. A questo punto, però, c’è un terzo incomodo: il cambiamento climatico.

Incide anche questo sull’inquinamento?

Se guardiamo a queste ultime settimane, c’è una meteorologia pazzesca: nessuna precipitazione (a parte due giorni), niente vento, c’è un’inversione termica per cui l’aria ristagna in alto, una insolazione molto forte. C’entra anche questo: le polveri sottili, in parte, vengono generate in atmosfera a partire da altri inquinanti, grazie alle radiazioni solari. Siamo in un’epoca di cambiamento climatico pronunciato. Può darsi che l’anno prossimo avremo un gennaio e febbraio nevosi e piovosi, però se guardiamo di decennio in decennio, ci accorgiamo che il clima cambia e rema contro il verso in cui le nostre politiche stavano andando. Teniamo conto che, quando diciamo che le temperature stanno aumentando di 1,5-2 gradi all’anno, questo vale come media a livello planetario, mentre la crescita è più che doppia nell’area mediterranea, in Pianura Padana.

Tenendo conto della situazione particolare in cui si trova Milano, cosa è stato fatto e che cosa possiamo fare per migliorare la qualità dell’aria?

Se tracciamo la curva degli inquinanti negli ultimi 50 anni, vediamo che il biossido di azoto e il PM10, seppure lentamente, stanno calando. Il numero di giorni in cui vengono superati i limiti del PM10 era di 100-150 l’anno fino a 10-15 anni or sono, mentre adesso siamo a 60-70 all’anno. Ancora tanti, ma siamo in una fase di miglioramento. Per quello che si sta facendo ora, ci vorranno 20-30 anni prima di avere un’aria accettabile; per accelerare i tempi, bisogna fare qualcosa di più. I provvedimenti presi vanno nella direzione giusta, ma sono ancora deboli.

Quali sono allora i provvedimenti che hanno inciso di più e sui quali si potrebbe intervenire?

Le fonti di emissioni più pericolose sono tre. La prima è la mobilità: i produttori stanno migliorando la qualità dei veicoli, ma soprattutto il parco dei veicoli commerciali è ancora vecchio, con diesel anche molto inquinanti. Non si è fatto abbastanza per sostenere il traffico su rotaia rispetto a quello su gomma e quello pubblico rispetto a quello privato. La seconda fonte è costituita dal riscaldamento domestico e degli uffici: abbiamo adottato il metano, ma non basta. Bisogna spingere verso i pannelli fotovoltaici e le pompe di calore, sistemi puliti. Il terzo problema è l’agricoltura, intensiva, produttiva, ma anche inquinante: la zootecnia e molte coltivazioni emettono ammoniaca che genera particolato fine. C’è da fare anche in questo campo.

Per cambiare in questi ambiti, la gente e le imprese devono essere aiutate ad affrontare queste novità, perché spesso mancano le risorse per far fronte a tutti questi costi. Qual è la strada da intraprendere?

Tocca alla politica decidere dove allocare le risorse. Si dice che la sanità è un settore prioritario, ma subito dopo dovrebbe venire considerata la necessità di avere aria, acqua e suoli puliti, anche per la nostra salute. In questo modo, ridurremmo pure la spesa sanitaria. Ci sono studi che dimostrano quanti miliardi si spendono in Lombardia quando c’è l’aria così inquinata, per giornate lavorative perse, visite mediche, farmaci, tutto relativo a malattie respiratorie.

Ciò che serve, allora, è un meccanismo che va adottato a livello nazionale, se non europeo?

Occorrono anche dei meccanismi di solidarietà perché noi in Pianura Padana siamo più sfortunati di altri. Se si definisce un grande piano europeo di qualità dell’aria, bisogna considerare che chi vive in questa zona parte svantaggiato. Le risorse europee, in questo caso, non andrebbero distribuite a pioggia.

A livello di politica locale, invece, cosa si può fare?

Regione e Comune di Milano si stanno impegnando e mettono a punto dei piani, a volte in polemica tra di loro, ma alla fine i provvedimenti che adottano sono, tutto sommato, allineati, coerenti. Non darei la croce addosso alle amministrazioni locali. Il problema è soprattutto europeo, se non globale.

I provvedimenti che limitano la circolazione delle auto, che vengono presi quando si verificano i picchi di inquinamento, hanno un senso? Possono incidere sulla situazione e migliorarla?

Hanno un senso in certe situazioni locali. Un provvedimento su cui si tende a sorvolare e che non limiterebbe la circolazione dei mezzi è la velocità. Negli USA, il limite è 55 miglia, 90 km all’ora; lo tengono perché minimizza i consumi. Andando a 90 all’ora, si consuma la metà che andando a 120: significa risparmio di carburante e anche metà emissioni. Stesso discorso per il riscaldamento: ogni grado in meno che si ha in casa diminuisce del 7% l’inquinamento. Se si abbassa il riscaldamento da 22 a 20 gradi, si abbassano del 14% i consumi e anche le emissioni, oltre ai costi. Occorre un atteggiamento che parta dalla base, dalla società.

(Paolo Rossetti)

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