Se alcune settimane fa è uscito nelle sale italiane Memorie di un assassino, dopo la vittoria agli Oscar di Parasite, vi propongo oggi un altro film del regista coreano Bong Joon-ho, Snowpiercer, una coproduzione inglese/coreana del 2013. Un altro livello rispetto a Memorie di un assassino, un salto qualitativo e tecnico. Il cast è internazionale con Ed Harris, Tilda Swinton, Chris Evans, John Hurt, Jamie Bell (l’ex piccolo Billy Elliot) e Song Kang-ho. Questi è l’attore feticcio del regista presente in molti suoi film, famoso in patria e nel circuito internazionale. La fotografia è ottima, nulla a che vedere con il thriller de 2003.



Il film, uscito in Italia nel 2014, prende un sacco. Il regista l’ha tratto da un fumetto fantasy francese in tempi lontani, 2004. Interessante e sopra le righe Swinton, irriconoscibile, acida e brutta zitella portavoce degli ordini del capotreno Wilford, il cattivone interpretato da Harris. Questi, prevedendo una glaciazione terrestre, aveva costruito un treno futuristico che gira intorno al mondo a velocità pazzesche, autoalimentato. E mentre il cosmo si gelava, gli unici superstiti sono le 2000 persone che erano riuscite ad acquistare il biglietto del treno. Ormai sono trascorsi 18 anni da che il mezzo vagava continuamente.
Potrebbe sembrare un futuro Noè, ma non è così, il padrone delle ferriere ha diviso gli scompartimenti in base alle classi sociali. Abbiamo i poveracci in fondo al treno e poi man mano i ricchi con scompartimenti sauna, piscina, serra, ristorante, acquario, discoteca con tanto di orge, vagone per i drogati di lusso, scuola di indottrinamento per i piccoli nati sul treno. Il tutto controllato da uomini armati tipo reparti speciali.



Negli ultimi scompartimenti siamo in un lager con uomini, donne, vecchi e bambini straccioni e denutriti, alimentati giornalmente da una barretta proteica nera che poi si scoprirà ottenuta centrifugando scarafaggi.

Il vecchio interpretato da Hurt è il saggio dei poveracci, senza una gamba e un braccio per le torture subite dagli uomini di Wilford. Incita alla sollevazione il prestante Curtis (Chris Evans), che diventa il leader dei rivoltosi. Si scatena una guerra sul treno con l’avanzamento degli insorti verso la testa degli scompartimenti dove ha la sua roccaforte Wilford.

Grande maestria nelle riprese e nel montaggio delle scene di lotta e guerriglia. Sin dall’inizio entra in scena Song Kang-ho, il cui personaggio (Namgoong Minsu) è recluso in cassettoni da obitorio con la figlia perché tossicomane. Il suo compito è quello di aprire le porte blindate di ciascun vagone. La battaglia si succede di vagone in vagone. Molto belle le scenografie di alcuni di questi, sullo stile del regista visionario Terry Gilliam (non a caso il cognome del vecchio saggio).



Lotta sanguinaria dei più deboli contro il potere. Sembrerebbe una lotta del Bene contro il Male, ma non c’è religiosità e alla fine si scoprono altarini che deluderanno il capo popolo Curtis. C’è sicuramente sacrificio e abnegazione nelle morti dei rivoltosi per portare un’equità sociale tra i passeggeri, ma il potere si insinua anche nelle azioni benevole (ma questo non lo svelo). Curtis andrà in crisi esistenziale, ma saranno il suo sacrificio e quello di Namgoong Minsu, la nota iniziale della speranza. La scena finale è il treno distrutto con la figlia del coreano e un bimbo che, sani e salvi, si incamminano in un mondo che si sta scongelando.