Giunti al sesto episodio di Snowpiercer – Netflix si diverte a somministrarne una puntata alla settimana, come si faceva una volta con i teleromanzi -, possiamo dire di non aver trovato ancora un valido motivo per guardarla. La serie tv è il pre-sequel dell’omonimo film del 2013 girato da Bong Joon-ho, il regista sudcoreano che vincerà nel 2019 l’Oscar con Parasite. Che a sua volta si era ispirato al fumetto di due disegnatori belgi “Transperceneige”.



La storia parte dal solito “disastro termico” che ha distrutto la vita sulla Terra. Da sette anni il pianeta è precipitato in una nuova era glaciale causata da alcuni tentativi andati a male di contrastare il riscaldamento globale. 

A -170 gradi – questa è la temperatura esterna – non c’è più vita. A parte quella dei 3.000 sopravvissuti che hanno trovato rifugio sul treno-arca del dottor Wilford. Sulle oltre mille carrozze che compongono il convoglio, hanno trovato posto – come accadde appunto con l’arca di Noè – rappresentanti dell’intero mondo vivente scelti per consentire una vita agiata ai sopravvissuti, garantendo loro ogni giorno dal latte munto fresco alle fragoline, dalle ostriche al pesce crudo per il sushi.



Ovviamente questi prodotti allietano la vita della prima classe dove vivono i ricchi sponsor del progetto. Ma sul treno hanno trovato posto, pagando un regolare biglietto, anche passeggeri meno ricchi, che si sono dovuti accontentare di un posto in seconda e terza classe, decisamente meno confortevoli della “business”. In fondo nelle ultime carrozze poi sono stati invece confinati i “senza biglietto”, cioè quelli che sono riusciti a salire sul treno forzando i cordoni della sicurezza nel momento caotico della partenza.

Il treno è condannato a correre all’infinito. Solo il suo movimento ad alta velocità lungo un percorso intorno alla Terra consente di raggiungere quello che viene definito il “moto perpetuo”. L’energia così prodotta garantisce la vita sul treno. Ma non la tranquillità. Ben presto si scatena tra gli appartenenti alle varie classi sociali una vera e propria lotta, che viene gestita sempre con maggiore difficoltà dall’austera capotreno Melania Cavill, interpretata da Jennifer Connelly (C’era una volta in America, A Beautiful Mind, American Pastoral), l’unica in grado di comunicare con il dottor Wilford.



Oltre alle evidenti tensioni sociali, la vita sul treno è segnata anche dall’insorgere di una consistente attività criminalità. Epicentro del crimine una carrozza-svago, collocata tra la prima e la seconda classe, aperta h24, dove si può trovare droga, alcol, prostituzione. Ma come in ogni treno che si comandi, a un certo punto giunge notizia di una serie di efferati omicidi.

È a questo punto che la Cavill si vede costretta a chiedere aiuto a Layton (interpretato da Daveed Diggs, il rapper già presente in The Get Down e protagonista del film Hamilton di prossima uscita), uno dei leader della rivolta dei senza-biglietto scoppiata in fondo al treno. Layton, prima che il mondo ghiacciasse, era uno dei migliori investigatori della polizia di Chicago ed è l’unico sul treno che ha le competenze per risolvere casi così complessi e scovare gli assassini. Infatti, Layton riesce nel suo compito, ma scopre anche una serie di magagne che – se rese pubbliche – manderebbero in mille pezzi la perfetta armonia creata dal dottor Wilford, di cui Layton però incomincia a mettere in dubbio l’esistenza. 

La storia va avanti così dalla prima puntata e immaginiamo che continuerà lungo questo canovaccio ancora per un bel po’, visto che in questi giorni la casa di produzione ha annunciato di voler realizzare la seconda stagione.

Per quanto gli effetti speciali riescono a rendere credibile il viaggio senza fine del treno tra paesaggi ghiacciati di un mondo completamente ibernato, la vita del treno è al contrario assai prevedibile e monotona. La stessa “lotta di classe” – genere in cui gli americani non eccellono – si riduce a qualche improvvisata e chiassosa protesta di un manipolo di sopravvissuti costretti a vivere in condizioni disumane e a cui verrebbe da domandare se non fosse preferibile averla fatta finita molto prima di salire su quel treno.

La storia, perfetta per un fumetto o per un film di due ore, rischia davvero di diventare ripetitiva e si ha la sensazione che gli autori l’abbiamo alquanto stiracchiata per renderla adeguata alla dimensione di una serie tv.

A parte l’incongruenza di alcuni passaggi (la malavita organizzata, le celle di ibernazione da cui si entra e si esce affidate a un medico improbabile, le stucchevoli storie romantiche e i soliti salvataggi all’ultimo secondo utile), la storia per quanto si ispiri alla fantascienza è priva di quella dimensione “realistica” che comunque è necessaria per dare corpo a un racconto. Gli attori sono molto bravi, ma i personaggi sembrano tutti senza spessore e vincolati ai loro cliché.

Chi è arrivato alla sesta puntata sarà costretto a guardare le ultime quattro, ma a chi non avesse ancora cominciato ricordo che anche le serie tv vanno scelte con oculatezza e che l’offerta è molto ampia e ricca e non conviene lasciare agli algoritmi di Netflix troppo spazio per lasciar loro decidere cosa guardare. Cercare, leggere, informarsi, quindi. Una serie tv dura diverse ore, ed è bene utilizzare al meglio anche il nostro tempo libero.