Uno dei testi meno citati dalla parzialissima infatuazione di sinistra per Giorgio Gaber (“La Libertà”, “Qualcuno era Comunista”) ma forse tra i più intelligenti e “profetici” nel tempo: “Il conformista”, anno di grazia 1996, riflette sulla figura del nuovo “uomo moderno” che si adatta a tutti e che prende “distanza” da tutto (poi riletto anni dopo da un acutissimo Samuele Bersani nell’altrettanto splendido “Lo scrutatore non votante”). Ecco, per il giornalista e scrittore Antonio Socci è proprio quel testo gaberiano a “smascherare” il conformismo moderno anche di questi giorni, tra social, cancel culture e “buonismo dei diritti”.



Nel suo ultimo editoriale su “Libero Quotidiano” Socci cita più volte “Il conformista” di Gaber per scardinare ipocrisie e idiosincrasie assai contemporanee. «Io sono un uomo nuovo per carità lo dico in senso letterale sono progressista al tempo stesso liberista antirazzista e sono molto buono sono animalista» si legge nel testo del brano gaberiano, o ancora «Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani». Si può essere fascista e poi comunista, per poi finire cattocomunista: ma venendo ai giorni nostri, Gaber già preconizzava i nuovi “idoli”, «ottimista europeista, femminista, animalista e pacifista». Secondo Socci, il “conformista” gaberiano «è uno che non si fa domande che possano destabilizzarlo e quindi si scandalizza quando trova chi semina dubbi e pone interrogativi scomodi che mettono in discussione i suoi preconcetti, le sue idee convenzionali».



SOCCI, GABER E IL CONFORMISMO

La denuncia di Antonio Socci parte dunque dal conformismo scardinato da Gaber per giungere più approfonditamente ai giorni nostri: «Ci sono i “catechismi civili” da ossequiare, con i loro luoghi comuni e ci sono ormai addirittura i “dizionari politicamente corretti”, con le parole e i pensieri permessi e vietati, per convenzione sociale, per regolamento e presto perfino per legge. Oggi siamo arrivati molto in là nel regno del luogocomunismo». È tutt’altro che banale il ragionamento perché si fonda non su una mera e banalizzante critica al “conformismo moderno”, ma scardina le origini di questo conformismo ormai divenuto autenticamente “luogocomunismo”: «All’origine però c’è sempre una sottomissione accettata, spesso per quieto vivere. La libertà comincia a morire a volte in modo impercettibile. All’inizio magari per un clima pedagogico, che diventa sottilmente intimidatorio, a cui ci si arrende, prima individualmente e poi collettivamente».



Dal geniale Dino Buzzati fino ai totalitarismi del Novecento, l’analisi di Socci ‘stana’ le conseguenze di quel “conformismo” che sembra aver tolto a tutti la libertà – quella vera – di pensiero e parola: il blocco dei social, il pensiero unico sui temi dei “diritti”, financo alle censure che solo fino a qualche anno fa sarebbero state ridicolizzata per l’assoluta inutilità e oggi vengono assunte come “atti di revisionismo necessari”. Sembra vincere il conformismo, sembra vincere i pensiero unico: sembra però, come spiega Socci rifacendosi ai casi non cosi distanti nel tempo di Solzenicyn e Vaclav Havel.  Quei due maestri del pensiero libero ci hanno insegnato la chiave per non rimanere sottomessi, di non essere mai conniventi «con la menzogna per quieto vivere o per paura. Il dispotismo è un gigante dai piedi d’argilla che crolla di fronte all’inerme verità, pronunciata dagli uomini liberi».