Secondo lo scrittore Usa Alexander Stille, il ban dai social network per Donald Trump per i fatti di Capitol Hill non è solo un pericoloso precedente ma è un atto profondamente scorretto per la stessa libertà di espressione e verità storica: nel suo editoriale di oggi su “Repubblica” lo scrittore e giornalista esce un attimo fuori dal coro di “condanna” del Presidente uscente americano e si pone una rilevante questione di principio. La decisione di Facebook, Twitter, Instagram e YouTube di vietare al presidente Donald Trump l’accesso alle piattaforme «solleva una serie di domande chi sarà necessario rispondere».
In primis, per Stille esiste il problema della discriminazione, «Perché vietare le false affermazioni di Trump sulle elezioni del 2020 pur continuando a consentire ai leader autocratici di Cina e Iran di fuorviare e manipolare il loro popolo?». La libertà di parola ed espressione lasciata ad una «manciata di dirigenti non eletti dovrebbe decidere a quali informazioni hanno accesso miliardi di persone in tutto il mondo?». Non solo, vi sarebbe anche una certa qual responsabilità degli stessi social nel «creare la palude malarica di disinformazione che ha aizzato la folla al Campidoglio».
TRA SOCIAL E DEMOCRAZIA: IL PUNTO DI STILLE
Secondo Stille infatti i social sono divenuti ormai ineludibili e necessari per la comunicazione politica, anche se resta il dato di aziende private che possono imporre i propri codici di comportamenti interni: di contro, sottolinea lo scrittore Usa, «i social sono in grado di operare grazie a specifiche politiche governative». Twitter e FB hanno sempre rifiutato di essere definiti “editori” bensì semplici «piattaforme neutre sui cui altri pubblicano materiale», un po’ come delle edicole: violenza e oscenità, definite ogni volta secondo criteri diversi, sono state le uniche due componenti di censura che operavano i social. Tutto questo fino al “nodo” Trump: «L’idea che Facebook e altri social media siano semplicemente piattaforme e non editori è diventata più difficile da mantenere di fronte alla realtà», attacca Stile includendo i macro-dati mondiali dei social network. «Una società tecnologica con sede nella Silicon Valley potrebbe non essere sempre il miglior giudice di ciò che inciterà alla violenza in altri angoli del globo», conclude Stille lanciando un appello al prossimo Congresso a guida Biden, che possano gestire finalmente il “vaso di Pandora” dei social network, anche se di ormai difficile controllo globale.