L’aspetto più urgente e prioritario di una politica sussidiaria nei confronti delle famiglie italiane è quello che riguarda il sostegno della famiglia in quanto soggetto sociale di mediazione dei rapporti fra le generazioni. Che cosa significa questo?
In termini alquanto semplificati, ma reali, significa rendere le famiglie capaci di rigenerarsi come famiglie, altrimenti la società vedrà crescere una massa di bisogni (problemi di isolamento, solitudine, mancanza di solidarietà sociale, mancanza di cure delle persone deboli e in difficoltà, dai bambini agli anziani non autosufficienti) a cui nessun welfare state potrà porre rimedio. Da vari anni, la “famiglia media” italiana ha sempre meno figli. Ciò significa che le famiglie si restringono, non riescono più a rigenerarsi, con la conseguenza che i giovani di oggi, quando saranno adulti e poi anziani, avranno sempre meno aiuti familiari dalle generazioni più giovani. Alcuni di questi aiuti possono certamente essere assunti dalla collettività (sistema di sicurezza sociale e servizi pubblici), ma questa soluzione presenta precisi limiti: innanzitutto il fatto che la spesa pubblica non è espandibile in modo illimitato e poi, soprattutto, il fatto che, al di là delle spese economiche, chi ha bisogno di aiuto necessita soprattutto di quelle relazioni umane di cura che sono date in modo insostituibile dalle reti familiari costituite dai legami fra le generazioni.
Il punto di partenza sta nella osservazione empirica che la situazione italiana è caratterizzata in modo negativo da due fenomeni: le crescenti difficoltà delle famiglie ad avere figli e ad offrire un ambiente valido all’infanzia (nonostante tutte le retoriche intorno al cosiddetto familismo italiano) e le crescenti iniquità nella distribuzione delle risorse fra le generazioni. Investire sempre meno sulle nuove generazioni è una tendenza in atto da tempo, che ha ed avrà ripercussioni estremamente gravi sul Paese. Di fatto già oggi ne pregiudica le possibilità di sviluppo e di concorrenza con gli altri Paesi, europei ed extra-europei.
I cambiamenti in corso nella famiglia italiana sono caratterizzati dalle seguenti tendenze (si vedano le indagini Istat, le pubblicazioni dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, i Rapporti biennali del Cisf): aumento del numero delle famiglie anagrafiche nonostante il fatto che la popolazione (autoctona) sia arrivata alla crescita zero (anzi sotto lo zero); aumento dell’età media di matrimonio sia per uomini che per donne; postponimento delle scelte procreative (la procreazione si concentra nell’intervallo di tempo in cui la donna ha all’incirca fra i 30 e 35 anni di età); diminuzione della ampiezza media della famiglia; diminuzione delle coppie con figli; aumento delle famiglie monogenitoriali; aumento delle famiglie anziane, e in particolare dei single anziani; allentamento dei rapporti di parentela, quindi maggiore isolamento sociale delle famiglie; aumento delle separazioni e dei divorzi. In breve, le famiglie si frammentano, si riducono di dimensioni, implodono. Mentre abbiamo bisogno di famiglie che siano capaci di essere soggetti sociali attivi e responsabili nel ricambio fra le generazioni.
I fenomeni di indebolimento e frammentazione delle famiglie sono profondamente e intimamente legati fra loro. C’è una complessa trama relazionale che li lega. Ci si chiede: esiste una causa o fattore sociologico più rilevante di altri che, come in una reazione a catena, in qualche modo tutti li induce, per via diretta o indiretta? Ebbene, pur a costo di semplificare, possiamo dire che questo fattore esiste, e consiste nella diminuzione della natalità in quanto effetto della mancanza di una politica per la famiglia che persegua l’equità fra le generazioni.
Rispetto all’Europa, l’Italia si caratterizza in modo negativo per la rapidità con cui i cambiamenti sono avvenuti negli ultimi tre decenni e per la incapacità a porvi dei rimedi significativi. Le ricadute, pertanto, saranno ancora più gravi che altrove (per avere un’immagine sintetica, è sufficiente pensare che, attorno al 2050, in molte aree del Paese per un bambino con meno di 5 anni di età ci saranno 20 anziani).
In breve. Ciò che colpisce è il fatto che da noi, in maniera assai più accentuata che altrove, si è instaurato un circolo vizioso e involutivo da cui il Paese non sembra ancora in grado di uscire. Se si esclude una ristretta cerchia di addetti ai lavori, il Paese non sembra neppure avere una consapevolezza adeguata alla drammaticità delle sfide che lo attendono. Si discute molto delle nuove forme familiari, ma il punto di vista dei bambini e delle nuove generazioni è quasi sempre assente da questo dibattito. Il problema della famiglia, se di un tipo o dell’altro, sembra toccare solo le preferenze e i gusti degli adulti. Salvo poi dover constatare che aumentano le violenze in famiglia: genitori che sopprimono i neonati, figli adolescenti che massacrano i genitori. Pochi sembrano aver coscienza del fatto che la diffusione di questi comportamenti è il frutto di una pressione pubblica squilibrata fra le generazioni che si scarica all’interno del privato-familiare, specie quando la famiglia è lasciata sola.
Considerato il panorama dei fenomeni appena descritti, ci si può chiedere quale sia l’agenda prioritaria che le attuali trasformazioni della famiglia comportano. L’agenda può essere tradotta in una espressione molto sintetica: equità e solidarietà fra le generazioni. Volendo dare una indicazione concreta, direi che occorre trasferire alle famiglie italiane risorse pubbliche per circa l’1% del Pil, affinché esse possano assolvere i loro compiti di operatori dell’equità fra le generazioni. Dove prendere queste risorse? A me pare che una risposta possibile sia quella di diminuire la spesa pensionistica (per un valore uguale a quello anzidetto), essendo noto che l’Italia eccede di molto quella che dovrebbe essere una spesa pensionistica sostenibile.
L’urgenza di una politica che operi in favore dell’equità intergenerazionale indica tre priorità: (i) sostegni per la formazione della famiglia e sostegni alle coppie giovani con figli 0-5 anni, sia monetari (fiscali, assegni) sia in servizi per la prima infanzia; (ii) politiche di conciliazione fra lavoro e famiglia che consentano – specie ai giovani – di poter essere pienamente attivi nel lavoro e di avere figli; (iii) sviluppo di reti di sostegno associativo per le famiglie che sono a rischio di esclusione sociale a causa della presenza di figli con problemi o per via di una struttura familiare debole, come le famiglie monogenitoriali.