Lo sviluppo dell’identità politica moderna
L’identità politica moderna ha origine da un vuoto nella teoria politica della democrazia liberale, cioè dal silenzio del liberalismo riguardo alla collocazione e al significato dei gruppi. La linea del pensiero politico moderno, che inizia con Macchiavelli e continua attraverso Hobbes, Locke, Rousseau e i padri fondatori americani, concepisce l’istanza della libertà politica come un confronto tra lo Stato e l’individuo, piuttosto che i gruppi. Hobbes e Locke, per esempio, ritengono che gli esseri umani possiedano diritti naturali come individui nello stato di natura; questi diritti possono essere garantiti solo da un contratto sociale che eviti che la ricerca dell’interesse personale del singolo danneggi gli altri.
Il liberalismo moderno sorse in buona misura dalla reazione alle guerre di religione in Europa a seguito della Riforma, ma, mentre stabilì chiaramente il principio che il potere statale non doveva essere usato per imporre un credo religioso ai singoli, lasciò senza risposta la questione se la libertà personale potesse entrare in conflitto con i diritti del popolo a sostegno di una particolare tradizione religiosa. La libertà, concepita non come libertà del singolo ma di gruppi culturali, religiosi o etnici di proteggere la propria identità collettiva, non è mai stata considerata centrale dai padri fondatori americani.
Gli scritti del filosofo canadese Charles Taylor aiutano a comprendere il successivo sviluppo storico delle identità politiche. Rousseau sostenne l’esistenza di un largo distacco fra il nostro essere esteriore, costituito dall’accumulo di costumi e abiti sociali, e la nostra vera natura interiore. La felicità risiederebbe nella riscoperta della nostra interiore autenticità. L’idea fu sviluppata da Herder, il quale sostenne che l’autenticità interiore risiede non semplicemente negli individui ma nei popoli, nella riscoperta di ciò che noi oggi definiamo cultura popolare. Taylor rileva che l’identità moderna è precipuamente politica, perché richiede un riconoscimento. L’idea che la politica moderna sia basata sul principio del riconoscimento universale deriva da Hegel. A ogni modo, risulta sempre più chiaro che il riconoscimento universale fondato su un’umanità individuale condivisa non è sufficiente, specialmente per quanto riguarda i gruppi che sono stati discriminati in passato. Quindi, l’identità politica moderna si risolve nelle richieste di riconoscimento delle identità dei gruppi: l’affermazione pubblica dell’uguale dignità dei gruppi precedentemente marginalizzati e la loro richiesta di riconoscimento riguardano quindi i loro diritti non solo in quanto individui, ma in quanto membri di un gruppo. Il multiculturalismo – inteso non semplicemente come tolleranza della diversità culturale, ma come richiesta di riconoscimento legale dei diritti di gruppi razziali, religiosi e culturali [] – si è diffuso oggi in tutte le moderne democrazie liberali.
L’ideologia radicale islamista, all’origine degli attacchi terroristici nel decennio trascorso, va vista in larga parte come una manifestazione della moderna identità politica più che della cultura tradizionale musulmana. Secondo il libro di Oliver Roy Islam globalizzato, pubblicato nel 2004, la radice dell’islamismo radicale non è culturale, cioè non è inerente all’islam o alla cultura che tale religione ha prodotto. Piuttosto, il radicalismo islamico è emerso nel momento in cui l’islam si è “deterritorializzato” in misura tale da aprire le porte alla questione dell’identità musulmana.
In una società musulmana tradizionale, l’identità di un individuo è fornita dai suoi genitori e dall’ambiente sociale, non è materia di scelta. Come l’ebraismo, l’islam è una religione estremamente realistica, poiché il credo religioso consiste nella conformità a una serie di regole sociali fissate esteriormente, fortemente localizzate in accordo con le tradizioni e le pratiche di località specifiche. Secondo Roy, l’identità diviene problematica proprio quando i musulmani lasciano una società islamica tradizionale, emigrando per esempio nell’Europa occidentale. L’identità musulmana non è più sostenuta dalla società esterna e, per contro, c’è una forte pressione ad adeguarsi alle norme culturali prevalenti in Occidente. La questione dell’autenticità sorge in una modalità mai verificatasi prima nella società tradizionale, di fronte al divario tra l’identità musulmana e il comportamento personale nella società circostante. L’islamismo radicale e il jihadismo sorgono in risposta alla conseguente ricerca d’identità. Tali ideologie possono rispondere alla domanda “Chi sono io?” posta da un giovane musulmano in Olanda o in Francia: tu sei membro di una comunità (umma) globale definita dall’appartenenza a una dottrina islamica universale, che è stata strappata via da tutte le sue tradizioni. L’identità musulmana diviene così oggetto di credo individuale piuttosto che conformità esteriore a pratiche sociali. Persino nei Paesi musulmani l’analisi di Roy rimane valida, perché l’importazione della modernità in queste società produce crisi d’identità e radicalizzazione.
Se il radicalismo islamico contemporaneo è inteso come prodotto dell’identità politica e quindi come un fenomeno moderno, ne seguono due implicazioni. In primo luogo, lo stesso problema è già emerso nella politica estremista del XX secolo, fra i giovani che divennero anarchici, bolscevichi o fascisti. La modernizzazione e la transizione da Gemeinschaft a Gesellschaft (da comunità a società) costituisce un processo intensamente alienante, di cui tocca ora ai giovani musulmani fare esperienza. In secondo luogo, il problema del terrorismo jihadista non sarà risolto portando la modernizzazione e la democrazia nel Medio Oriente. La visione dell’amministrazione Bush, secondo cui il terrorismo prende le mosse da una mancanza di democrazia, trascura il fatto che così tanti terroristi erano radicati in Paesi democratici europei. La modernizzazione e la democrazia sono in sé cose buone, ma nel mondo musulmano contribuiscono in tempi brevi a incrementare il terrorismo, non a scoraggiarlo. 
Europa e America a confronto
Le moderne società liberali in Europa e Nord America tendono ad avere identità deboli; molti celebrano il loro pluralismo e multiculturalismo, sostenendo in effetti che la loro identità è non avere identità. Il fatto è che l’identità nazionale continua a esistere in tutte le democrazie liberali contemporanee, anche se con caratteri differenti in Nord America rispetto ai Paesi dell’UE. Secondo Seymour Martin Lipset, l’identità americana è sempre stata di natura politica, essendo gli Usa nati da una rivoluzione contro l’autorità statale, con alla base cinque valori fondanti: uguaglianza (intesa come uguaglianza di opportunità, piuttosto che di riuscita), libertà (o antistatalismo), individualismo, populismo e laissez-faire. L’identità americana ha le sue radici anche nelle diverse tradizioni etniche, in particolare in quella che Samuel Huntington definisce la dominante cultura “anglo-protestante”, da cui derivano la famosa etica protestante del lavoro, l’inclinazione americana all’associazionismo volontario e il moralismo della politica statunitense. Questi aspetti chiave della cultura americana all’inizio del XXI secolo sono stati distinti dalle loro origini etniche, divenendo patrimonio della maggioranza dei nuovi americani.
In Europa dopo la seconda guerra mondiale ci fu un forte impegno nella creazione di un’identità europea “postnazionale”, ma ancora pochi pensano a sé come genericamente europei. Con il rifiuto della Costituzione europea nei referendum in Francia e in Olanda nel 2005, i cittadini hanno segnalato alle élites di non essere pronti a rinunciare allo Stato e alla sovranità nazionale. Le vecchie identità nazionali europee continuano a sussistere e la popolazione conserva tuttora un forte senso di cosa implichi l’essere inglese, francese o italiano, anche se non è politically correct affermare troppo fortemente tali identità. Le identità nazionali in Europa, comparate a quelle nelle Americhe, rimangono più fondate sugli aspetti etnici. La maggior parte dei Paesi europei tende a concepire il multiculturalismo come una cornice dentro la quale far coesistere culture differenti, piuttosto che un meccanismo di transizione per integrare i nuovi arrivati nella cultura dominante. Molti europei esprimono scetticismo circa la volontà dei musulmani di integrarsi, eppure coloro che vogliono integrarsi non sempre sono i benvenuti, anche se hanno acquisito il linguaggio e la cultura della società ospitante.
I limiti del vecchio multiculturalismo
Quali che siano le esatte cause, il fallimento europeo nel tentativo di creare una migliore integrazione dei musulmani è una bomba a orologeria che ha già contribuito al terrorismo, che certamente provocherà una più decisa reazione dei gruppi populisti e che può persino minacciare la stessa democrazia europea. La soluzione di tale problema richiede cambiamenti nel comportamento delle minoranze immigrate e dei loro discendenti, ma anche in quello dei membri delle comunità nazionali dominanti. Il primo versante della soluzione è riconoscere che il vecchio modello multiculturale non è stato un grande successo in Paesi come l’Olanda e la Gran Bretagna, e che è necessario sostituirlo con tentativi più energici per integrare le popolazioni non-occidentali in una comune cultura liberale.
Il vecchio modello multiculturale era basato sul riconoscimento dei gruppi e dei loro diritti. A causa di un malinteso senso di rispetto per le differenze culturali – e talvolta per sensi di colpa postcoloniali – è stata ceduta alle comunità culturali un’eccessiva autorità nel fissare regole di comportamento per i loro membri. Il liberalismo non può ultimamente essere basato sui diritti dei gruppi, perché non tutti i gruppi sostengono valori liberali. La civiltà dell’Illuminismo europeo, di cui la democrazia liberale contemporanea è l’erede, non può essere culturalmente neutrale, dal momento che le società liberali hanno propri valori che riguardano l’eguale dignità e valore dei singoli. Le culture che non accettano tali premesse non meritano uguale protezione in una democrazia liberale. I membri delle comunità immigrate e i loro discendenti meritano di essere trattati su un piano di parità come individui, non come membri di comunità culturali. Non c’è ragione perché una ragazza musulmana sia trattata differentemente da una cristiana o da un’ebrea rispetto alla legge, comunque la pensino i suoi parenti.
Il multiculturalismo, per come fu originalmente concepito in Canada, negli Usa e in Europa, era in un certo senso un “gioco alla fine della storia”: la diversità culturale era vista come un tipo di ornamento al pluralismo liberale che avrebbe provveduto cibo etnico, vestiti coloratissimi e tracce di tradizioni storiche distintive a società spesso considerate confusamente conformiste e omogenee. La diversità culturale era qualcosa da praticare largamente nella sfera privata, dove non avrebbe condotto ad alcuna seria violazione dei diritti individuali, né avrebbe minato l’ordine sociale essenzialmente liberale. Per contro, oggi alcune comunità musulmane stanno avanzando richieste per diritti di gruppo che semplicemente non possono essere adattati ai principi liberali di uguaglianza individuale. Tali richieste includono esenzioni speciali dalla legislazione familiare valida per chiunque altro nella società, il diritto di escludere i non-musulmani da alcuni particolari eventi pubblici o il diritto di opporsi alla libertà di parola in nome dell’offesa religiosa (come nel caso delle vignette danesi). In taluni casi estremi, le comunità musulmane hanno persino espresso l’ambizione di sfidare il carattere secolare dell’ordine politico nel suo insieme.
Tipologie simili di diritto di gruppo intaccano chiaramente i diritti di altri individui nella società e sospingono l’autonomia culturale ben oltre la sfera privata. Chiedere ai musulmani di rinunciare ai diritti di gruppo è molto più difficile in Europa che negli Usa, perché molti Paesi europei hanno tradizioni corporative. L’esistenza di scuole cristiane ed ebree finanziate dallo Stato in molti Paesi europei rende difficile argomentare in via di principio contro un sistema scolastico supportato dallo Stato per i musulmani. Queste isole di corporativismo pongono importanti precedenti per le comunità musulmane e risultano d’ostacolo al mantenimento di un muro di separazione fra religione e Stato. Se l’Europa deve stabilire il principio liberale di un pluralismo fondato sugli individui piuttosto che sui gruppi, allora deve affrontare il problema di tali istituzioni corporative ereditate dal passato.
Il problema dell’identità nelle società postmoderne
Le modalità con cui l’identità nazionale continua a essere intesa e vissuta talvolta costituiscono una barriera per i nuovi arrivati, che non condividono l’etnia e la religione delle popolazioni originarie. Questo senso di appartenenza a un luogo e a una storia dovrebbe non essere cancellato, ma reso quanto più aperto possibile ai nuovi cittadini. A dispetto delle sue origini assolutamente differenti, l’America può avere qualcosa da insegnare agli europei nel loro tentativo di costruire forme postetniche di cittadinanza e appartenenza nazionale. La vita americana è piena di cerimonie parareligiose e rituali intese a celebrare le istituzioni politiche democratiche del Paese, laddove invece gli europei hanno largamente deritualizzato la loro vita politica. Queste cerimonie sono invece importanti per l’assimilazione dei nuovi immigrati.
Inoltre, in gran parte dell’Europa, una combinazione di regole rigide nel mondo del lavoro e di benefit generosi spiega come gli immigrati non vengano in cerca di lavoro, ma di welfare. Molti europei affermano che il meno generoso welfare state statunitense privi i poveri di dignità. È invece vero il contrario: la dignità si sviluppa grazie al lavoro e al contributo che attraverso il proprio lavoro una persona dà al resto della società. In diverse comunità musulmane in Europa, circa metà della popolazione sussiste grazie al welfare, contribuendo direttamente a indurre un senso di alienazione e disperazione.
Il dilemma dell’immigrazione e dell’identità ultimamente converge con il problema più vasto della mancanza di valori della postmodernità. L’insorgere del relativismo ha reso più difficile per i postmoderni affermare valori positivi e perciò anche quei valori di base condivisi che agli immigrati è chiesto di fare propri come condizione per la cittadinanza. Al di là delle celebrazioni della diversità e della tolleranza, i postmoderni trovano difficile accordarsi sulla sostanza di un bene comune cui aspirare unitariamente. L’immigrazione ci costringe in maniera particolarmente stringente a porci la domanda: “Chi siamo?”. Se le società postmoderne debbono muoversi verso una più seria discussione dell’identità, avranno bisogno di portare alla luce quelle virtù positive che definiscono cosa vuol dire essere membri di una società più vasta. In caso contrario, rischiano di essere sopraffatte da chi è più sicuro della propria identità.



 Non è un caso che Taylor sia canadese: il multiculturalismo e l’identità politica contemporanei sono sorti per molti aspetti proprio in Canada, con la richiesta di riconoscimento dei propri diritti avanzata dalla comunità francofona. La legge 101 del 1977 viola il principio liberale dell’eguaglianza di diritti individuali: i francofoni godono di diritti linguistici non condivisi dagli anglofoni. Il Quebec fu riconosciuto come “società distinta” nel 1995 e come “nazione” nel 2006.

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