Da Gaza giunge un’operazione di verità, forse scomoda, ma oggi inevitabile. Abbandonando stereotipi, strumentalizzazioni, partigianerie, tutti possono cogliere, infatti, aspetti essenziali e non sempre correttamente valutati del conflitto israelo-palestinese.

Israele, in primo luogo, non poteva fare altro. Sono mesi che, ogni giorno, nel silenzio dei media occidentali, giungono da Gaza sulle confinanti città israeliane missili portatori di distruzione. La sicurezza dello Stato ebraico imponeva un’azione di autotutela e difesa, dato che, a nessuno, può essere richiesto di accettare passivamente iniziative finalizzate alla sua distruzione.

Mai, come in queste ore, Israele è unito. I commentatori, i politici, la gente comune – in un Paese che normalmente è caratterizzato da una conflittualità interna straordinaria e violentissima – sanno bene come non ci fosse, ormai, un’alternativa possibile. Il terrorismo va fermato, anche con la guerra, ma va fermato.

Non solo. Gaza è la patria di Hamas, di un movimento teocratico e islamista che non vuole la pace e che non riconosce, oltre ad Israele, neppure il Governo dell’Autorità Palestinese. Hamas è fratello gemello di Hezbollah, condivide le posizioni del Presidente iraniano Ahmadinejad, vede nell’Occidente (e non solo in Israele) un nemico da annientare.

Con Hamas, oggi, non è possibile nessun accordo perché non accetta la legittimità delle controparti. I bombardamenti israeliani mostrano, quindi, anche questa seconda terribile verità: il popolo palestinese non è stato in grado, sino ad ora, di meritarsi una pace. Ottenuto il governo su Gaza (grazie alla lungimirante decisione di Ariel Sharon) e la possibilità di costruire una progressiva autonomia nazionale, si è diviso, tra mille clan, tribù, interessi particolari.

Non esiste una leadership (politica, economica, sociale) condivisa, manca una qualsiasi forma di tutela dei principi democratici, latita un progetto di sviluppo economico, trionfano logiche di corruzione. Per non parlare della totale assenza di processi di institutional building in settori chiave come la giustizia, la sanità, la pubblica amministrazione. L’Autorità Palestinese è l’emblema dell’autofallimento di una generazione incapace di evolvere da una prospettiva di costante ostilità verso il vicino, ad una dimensione di collaborazione e di mutua crescita.

Tra le tante verità provenienti da Gaza, una terza balza prepotentemente agli occhi: l’assoluta mancanza di ruolo nell’area dell’Occidente e dell’Europa. Rinchiusi in vuoti steccati ideologici, i presunti portatori di civiltà e democrazia non hanno visto – o, meglio, non hanno voluto vedere – cosa stava accadendo. Non hanno colto come la minaccia di Hamas andasse fermata preventivamente, come la leadership di Hamas portatrice di messaggi di violenza andasse positivamente combattuta. Se non con le armi (come sta facendo oggi Israele), con i mille altri mezzi di natura sanzionatoria che potevano essere adottati e che avrebbero potuto impedire l’attuale escalation.

Non si può paragonare Israele, unica democrazia dell’area, a Hamas. Non si possono assumere posizioni equidistanti o equivicine… Oggi, come non mai, Israele e la sua sicurezza devono essere considerati il fulcro su cui pacificare l’intero Medio Oriente. Chi attacca Israele, chi ne postula la distruzione, in realtà attacca tutti quei valori, quei principi (la democrazia, il pluralismo, la tutela dei diritti universali dell’uomo, per ricordarne solo alcuni) su cui è costruito il modello occidentale. I missili di Hamas, in altre parole, non hanno colpito soltanto Sderot e le città israeliane, ma hanno sempre avuto come bersagli anche New York, come Parigi, Roma, Madrid.

Israele sta combattendo una guerra per la salvaguardia di tutti noi. Lasciarlo solo sarebbe un inaccettabile atto di autolesionismo e soprattutto sarebbe un regalo agli islamisti che non vogliono la pace e che speculano sulla tragedia del popolo palestinese. Israele, forte e sicuro, è l’antidoto più grande contro chi uccide nel nome di Dio e contro chi vuole minare i valori che sono alla base della nostra identità occidentale.

Questa è forse la più grande verità che ci giunge, oggi, da Gaza.