L’emergenza immigrazione, prima che nei numeri, consiste nelle condizioni disumane in cui queste persone raggiungono l’Italia: disidratate, sfinite, cotte dal sole, stipate sulle bagnarole, e che talvolta non sopravvivono al viaggio. La vera emergenza consiste poi nella necessità di dare un’accoglienza adeguata e immediata. Per farlo non è certo possibile agire con mezzi ordinari.
Nel nostro mondo globalizzato, le migrazioni sono sempre più diffuse, e di fronte a una realtà tanto complessa, l’Italia ha trovato una sua strada e sta cercando di affrontare i problemi man mano che emergono. In questo, altri Paesi europei mostrano anche maggiori difficoltà e più severità.
Non si può pensare che da luoghi di estrema povertà, dove la sopravvivenza quotidiana è un impegno estremo e duro, le persone non desiderino fuggire: hanno una speranza e la perseguono.
Nei miei viaggi ho visitato alcuni dei Paesi da cui originano molti dei nostri immigrati. Lì vivono in condizioni veramente misere: combattono contro malattie che noi non ricordiamo più, come la malaria e la tubercolosi, o come il morbillo, e lottano contro la fame; cose che noi abbiamo sentito raccontare dai nostri nonni e che abbiamo sepolto sotto l’oblio dell’opulenza.
La maggior parte di loro desidera lavorare e costruirsi un futuro migliore. E se noi li accogliamo dobbiamo garantirgli un’opportunità vera. In caso contrario sarebbe un dovere umano dire che non riusciamo ad accoglierli, prima che a farlo siano le bande di criminali.
Detto questo le priorità in tema di immigrazione sono, a mio parere, sostanzialmente tre.
Innanzitutto la lotta ai trafficanti di uomini: esiste un business che spreme dalle tasche di coloro che fuggono cifre impensabili, facendoli viaggiare nelle condizioni a noi ben note. Questa è una battaglia seria da riprendere, coinvolgendo i governi che spesso usano gli uomini come arma di ricatto per farsi aiutare a costruire strade e dighe. È una battaglia da portare avanti insieme a quella contro il terrorismo.
È poi necessaria una cooperazione con i popoli, perché possano costruire un mondo migliore là dove sono, senza dover lasciare tutto. Questo può avvenire attraverso l’educazione e la formazione.
Infine va creato un ambiente adeguato all’accoglienza: regole chiare, certe, definizione chiara delle reali possibilità di accoglienza, senza tentennamenti, insieme a un tessuto in cui i nuovi arrivati possano trovare punti di riferimento per la loro vita quotidiana. Questo li può mettere in grado di convivere con noi, di distinguere giusto e ingiusto, vero e falso, legale e illegale, facendo crescere la loro responsabilità. Per questo è necessario anche sostenere le iniziative del privato sociale.